Cass., sez. I, Sentenza n.7541 del 13 aprile 2001, sui criteri dell’assegno
divorzile
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 26 giugno 1990, ex art. 4 della legge l° dicembre 1970
n. 898, L. G. chiedeva
che il Tribunale di Perugia dichiarasse la cessazione degli effetti civili
del matrimonio celebrato il
6 settembre 1975 con M. C., dalla quale si era consensualmente separato
nel 1986.
La C. si costituiva in giudizio aderendo alla domanda, ma chiedendo l'attribuzione
di un assegno
di divorzio di lire 2.000.000 mensili, annualmente rivalutabili.
Il Presidente del Tribunale confermava in via provvisoria l'assegno
concordato in sede di
separazione (lire 550.000 mensili) disponendone la rivalutazione annuale
secondo gli indici
ISTAT.
Il Tribunale pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio
e, con sentenza definitiva
del 28 febbraio - 17 aprile 1997, assegnava alla moglie la somma mensile
di lire 950.000,
annualmente rivalutabile.
Con sentenza del 20 maggio - 30 giugno 1999, la Corte di appello di Perugia
confermava la
decisione di primo grado, respingendo le impugnazioni proposte dalle parti.
osservava, in
particolare, per quanto rileva in questa sede:
a) che l'assegno dì divorzio ha carattere assistenziale e spetta
all'ex coniuge che non ha mezzi
adeguati in relazione al tenore di vita goduto o che avrebbe potuto godere,
in costanza di
matrimonio;
b) che nella specie era evidente la sproporzione economica risultando dalla
documentazione in
atti che il G., noto avvocato del Foro perugino, con importanti cariche
pubbliche, aveva
denunciato per l'anno 1993 un reddito di circa tre volte superiore a quello
della ex moglie, la
quale, benché laureata, era dipendente, a reddito fisso, di un'industria;
c) che, ai fini della quantificazione dell'assegno, doveva tenersi conto
che il matrimonio era
durato dieci anni, che le ragioni della decisione era imputabili al marito
e che quest'ultimo si era
formato una famiglia ed aveva due figli;
d ) che appariva equo l'assegno stabilito dai primi giudici.
Avverso la sentenza d'appello L. G.ha proposto ricorso per cassazione sulla
base di due motivi.
Marisa C. ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo mezzo d'impugnazione il ricorrente lamenta violazione e
falsa applicazione
dell'art. 5 comma 6 della n. 898 del 1970, come modificato dalla legge
6.3.1987 n. 74, anche in
relazione a quanto disposto dall'art. 2697 c.c., nonché omessa,
insufficiente e contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia.
1.1. Essere avvocato non è di per sé indice di agiatezza
e non comporta, senza necessità di
ulteriori dimostrazioni, l'applicazione di un assegno di mantenimento a
favore dell'altro coniuge,
come invece ritenuto dal Tribunale e recepito dalla Corte di merito, in
modo assolutamente
superficiale, omettendo di valutare il materiale probatorio raccolto. Le
ragioni della decisione
valgono ai fini della determinazione dell'assegno ma non ai fini del riconoscimento
del diritto
all'assegno per cui vale il solo criterio assistenziale, con la conseguenza
che l'accertamento della
sussistenza di tali ragioni diventa superfluo quando risulti che il coniuge
richiedente fruisca di
mezzi adeguati. Nella specie, i redditi della C. erano sufficienti a conservarle
il tenore di vita che
ella aveva in costanza di matrimonio ovvero a permetterle lo svolgimento
di una vita agiata e
serena. Nel 1993 lo stipendio annuo della C. era di circa lire 58.000.000,
pari al reddito del G.
al momento della cessazione della convivenza, sicché non vi era
uno squilibrio tra i redditi. Il
giudice di merito si era limitato ad affermare che la C. non poteva più
avere lo stesso tenore di
vita goduto in costanza di matrimonio, senza che ella, su cui gravava il
relativo onere, avesse
dimostrato quale fosse stato tale tenore di vita e che fosse intervenuto
un apprezzabile
deterioramento di esso a causa dell'inadeguatezza dei propri mezzi. Né,
secondo la
giurisprudenza, il deterioramento poteva desumersi dalla mera circostanza
di un sensibile divario
di condizioni reddituali in danno del coniuge richiedente, specie quando
il reddito di quest'ultimo,
ancorché inferiore a quello dell'altro, sia in assoluto di importo
elevato. Il G. dopo la separazione
non aveva mutato le proprie condizioni di vita e si era limitato ad acquistare
una casa di
abitazione, grazie alla vendita di altri immobili pervenuti per successione,
alla stipula di un mutuo
ed all'aiuto economico dell'attuale moglie. La vendita di beni immobili
pervenuti in eredità dopo il
divorzio non costituisce un elemento determinativo del tenore di vita non
essendo tale evento
collegato in alcun modo alla situazione di fatto ed alle aspettative maturate
nel corso del
matrimonio.
2. Il motivo non è fondato.
2.1. L'accertamento del diritto all'assegno divorzile (di carattere esclusivamente
assistenziale) va
effettuato verificando l'inadeguatezza dei mezzi (o l'impossibilità
di procurarseli per ragioni
oggettive) del coniuge richiedente, raffrontata, ad un tenore di vita analogo
a quello avuto in
costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso
di C.nuazione dello
stesso o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative
maturate nel corso
del rapporto, fissate al momento del divorzio. Tale accertamento va compiuto
mediante una
duplice indagine, attinente all' "an" ed al "quantum", nel senso che il
presupposto per la
concessione dell'assegno è costituito dall'inadeguatezza dei mezzi
del coniuge richiedente
(comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di
cui possa disporre) a conservare un
tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, non essendo
necessario uno
stato di bisogno dell'avente diritto (il quale può essere anche
economicamente autosufficiente) e
rilevando, invece, l'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio,
delle precedenti
condizioni economiche (Cass. 17 marzo 2000 n. 3101; cfr. pure Cass. 22
giugno 199 n. 6307,
29 ottobre 1999 n. 12182).
2.2. Secondo quanto già affermato da questa Corte, il coniuge che
richiede l'assegno divorzile,
per provare che la sua situazione patrimoniale e reddituale non consente
la conservazione di un
tenore di vita analogo a quello mantenuto in costanza di matrimonio, ha
l'onere di fornire la
dimostrazione della fascia socio-economica di appartenenza della coppia
all'epoca della
convivenza e del relativo stile di vita adottato "manente matrimonio",
nonché l'attuale situazione
economica (Cass. 16 giugno 2000 n. 8225; vedi pure Cass. 8 febbraio 2000
n. 1379, 28 luglio
1999 n. 8183, 21 agosto 1997 n. 7799).
2.3. Nel caso in esame, la Corte territoriale, dopo aver osservato che
l'assegno ha carattere
assistenziale e riequilibrativo e che l'adeguatezza dei mezzi va valutata
non in relazione al
parametro di una vita autonoma e dignitosa, ma al tenore di vita goduto,
o che avrebbe potuto
godersi, in costanza di matrimonio, ha preso come riferimento temporale
l'anno 1993, e cioè
un'epoca in cui i coniugi erano già separati (dal 1986) ed era pendente
(dal 1990) il giudizio di
divorzio. La Corte di appello si è espressa nei seguenti termini:
"Nella specie risulta dalla
documentazione in atti che il G. - noto avvocato del Foro perugino, con
importanti cariche
pubbliche - ha denunciato per l'anno 1993 un reddito di circa tre volte
superiore a quello della
ex moglie, la quale è, benché laureata, pur sempre una lavoratrice
a reddito fisso, dipendente da
un'industria. Evidente è quindi la odierna sproporzione economica
della donna rispetto alla
disponibilità economica di cui poteva godere in costanza di matrimonio
ed evidente è il
conseguente inferiore tenore di vita odierno della stessa".
2.4. Pur se la Corte territoriale ha fatto riferimento ai redditi delle
parti nel 1993, quando i
coniugi erano già separati, essa ha evidentemente ritenuto, per
il tipo di posizione acquisita dal
G., che tale situazione non fosse dovuta a fatti sopravvenuti i quali fossero
estranei alle
aspettative già presenti durante la convivenza matrimoniale. E'
evidente, infatti, che la qualità di
"noto avvocato del Foro perugino, con importanti cariche pubbliche" si
acquisisce nel tempo a
meno che non intervengano fattori eccezionali, che nel caso in esame non
risultano però
nemmeno dedotti.
3. Con il secondo motivo (indicato con il n. 3) il ricorrente denuncia
violazione e falsa
applicazione di quanto disposto dall'art. 2697 c.c., anche per omessa ed
insufficiente
motivazione su di un punto decisivo della controversia.
3.1. Per dimostrare, senza invertire l'onere della prova, che la C. non
aveva diritto all'assegno di
divorzio, sia perché percepiva redditi tali da assicurarle una vita
agiata sia perché le sue
condizioni di vita non erano mutate in conseguenza della separazione, il
G. aveva richiesto
l'ammissione di specifici mezzi di prova (prove testimoniali, consulenza
tecnica, ispezioni) che
erano stati completamente trascurati dai giudici di merito, i quali non
avevano spiegato le ragioni
per cui tali prove non avevano avuto ingresso nel processo. La sentenza
era quindi viziata per la
mancata assunzione di una prova decisiva.
4. Nemmeno questo motivo è fondato.
4.1. Poiché il giudice d'appello ha ritenuto - con una motivazione
insindacabile in sede di
legittimità, in assenza di vizi logici o giuridici - che gli elementi
in atti, relativi alle posizioni
lavorative delle parti ed al livello dei redditi rispettivi, dimostrassero
la sussistenza dei diritto della
C. all'assegno di divorzio, non era tenuto ad esaminare le prove richieste.
5. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
6. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come nel dispositivo,
vanno poste a carico del
ricorrente, in ragione della soccombenza.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle
spese del giudizio di
cassazione, liquidate in lire oltre a lire 2.500.000 per onorari.
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