Aggiornamento - Amministrativo |
CORTE COSTITUZIONALE – sentenza 9 marzo 2016 n. 49 in materia
di SCIA e relativa autotutela quali principi fondamentali
della legislazione statale SENTENZA nel
giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 84-bis, comma
2, lettera b), della legge della Regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1
(Norme per il governo del territorio) promosso dal Tribunale amministrativo
regionale per Visto l’atto di intervento della Regione Toscana; udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 2016 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio. Ritenuto in fatto 1.− Il Tribunale
amministrativo regionale per 2.− Premette il rimettente, in fatto, che il ricorrente, proprietario di una unità immobiliare ad uso civile abitazione ricadente in zona urbanisticamente classificata come agricola nel Comune di Firenze, intendendo avvalersi dei benefici della normativa regionale sul cosiddetto “piano casa” (legge della Regione Toscana 8 maggio 2009, n. 24, recante «Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell’economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente»), presentava in data 10 settembre 2012 una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) finalizzata alla realizzazione di un ampliamento della predetta abitazione mediante chiusura di un preesistente loggiato. Successivamente alla presentazione della segnalazione nessuna indicazione ostativa era pervenuta da parte del Comune di Firenze, sicché i lavori erano stati eseguiti, e ne era stata comunicata l’ultimazione in data 25 febbraio 2013. Con nota del 25 giugno 2013, il Comune di Firenze dava avviso dell’avvio di un procedimento di accertamento edilizio ai sensi dell’art. 84-bis della legge regionale n. 1 del 2005, in quanto l’ampliamento non rientrava tra quelli consentiti dalla legge regionale n. 24 del 2009. Con ulteriore
provvedimento del 28 febbraio 2014 il responsabile della direzione
urbanistica del Comune di Firenze dichiarava inefficace 3.− Il TAR, ai fini del
vaglio del secondo motivo di ricorso, che verteva sulla violazione
dell’art. 19, comma 3, della legge 7 agosto
1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di
diritto di accesso ai documenti amministrativi), in quanto con il
provvedimento impugnato l’Amministrazione avrebbe dichiarato inefficace
4.− Il rimettente ricorda che l’art. 19 della legge n. 241 del 1990, è stato novellato dall’art. 49, comma 4-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, che ha sostituito l’istituto della dichiarazione di inizio attività (DIA) con quello della segnalazione certificata di inizio attività. 5.− Espone, quindi, che l’art. 19, comma 1, nel suddetto testo, stabilisce che la segnalazione deve essere corredata dalle «dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445», nonché dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia delle imprese, relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell’Amministrazione. L’Amministrazione, secondo quanto previsto dal comma 3 dell’art. 19, deve accertare l’eventuale carenza dei requisiti e dei presupposti entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento della SCIA. La scadenza di tale termine costituisce un evento decadenziale che preclude l’adozione di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti, salvo che le dichiarazioni sostitutive attestanti fatti, qualità e stati personali posti alla base della SCIA si rivelino, successivamente false o mendaci, oppure nel caso in cui l’attività intrapresa in assenza dei requisiti e dei presupposti di legge metta in pericolo il patrimonio artistico e culturale, l’ambiente, la salute, la sicurezza pubblica o la difesa nazionale. Qualora tali ipotesi non sussistano, l’Amministrazione non perde ogni possibilità di intervento tardivo, ma il relativo potere non potrà essere correlato alla semplice verifica della assenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge, o da atti amministrativi generali, per l’esercizio delle attività, ma alle valutazioni di opportunità e al bilanciamento degli interessi di cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990. Secondo quanto previsto dall’art. 19, comma 6-bis, della legge n. 241 del 1990, come aggiunto dall’art. 5, comma 2, lettera b), numero 2) del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre europeo. Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 luglio 2011, n. 106, il sistema dei controlli sulla SCIA è applicabile nella sua integralità alla materia edilizia, con la differenza che il termine per l’intervento inibitorio o repressivo dell’Amministrazione è ridotto da sessanta a trenta giorni. Esaminando il contenuto precettivo della disposizione impugnata, il Tribunale amministrativo regionale rileva che la stessa consente all’Amministrazione di esercitare i poteri sanzionatori previsti per la repressione degli abusi edilizi, anche oltre il termine di trenta giorni dalla presentazione della SCIA, in un numero di ipotesi più ampio di quello previsto dai commi 3 e 4 dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990. Il contrasto tra la disciplina statale e quella regionale comporta, ad avviso del rimettente, la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, sia con riguardo alla violazione dei principi fondamentali della materia edilizia, rientrante in quella più generale del «governo del territorio» oggetto di competenza concorrente ex art. 117, terzo comma, Cost., in quanto la disciplina statale dei titoli edilizi costituisce norma di principio, sia con riguardo al mancato rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali stabiliti con legge dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. La disciplina regionale impugnata, nel momento in cui consente l’esercizio dei poteri sanzionatori relativi a determinate categorie di interventi edilizi che hanno formato oggetto di SCIA, anche oltre il termine di trenta giorni dalla sua presentazione sulla base del mero riscontro della difformità dalle norme urbanistiche generali, degli atti di «governo del territorio» o dei regolamenti edilizi, altera gravemente l’equilibrio tra i due valori sopra menzionati, a sfavore della tutela dell’affidamento del privato, che la norma non tiene in alcuna considerazione. 6.− Si è costituita 7.− Dopo aver riepilogato
i termini della questione, La disposizione censurata, introdotta dalla legge regionale n. 40 del 2011, ha inteso chiarire un possibile dubbio derivante da una eventuale interpretazione dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, come vigente ratione temporis, e cioè che, decorso il termine di trenta giorni per vietare la prosecuzione dell’attività conseguente a SCIA e non ricorrendo i casi tassativi previsti dal comma 4 del medesimo art. 19, l’Amministrazione non potesse in alcun modo intervenire in presenza di un abuso edilizio, neppure in via di autotutela, nell’esercizio dei poteri sanzionatori di controllo edilizio. Richiama, a sostegno della legittimità della disposizione regionale, la sentenza n. 188 del 2012, che ha sancito che è da escludere che l’art. 6, comma 1, lettera b), del d.l. n. 138 del 2011, «abbia l’effetto di privare, nella materia edilizia, l’amministrazione del potere di autotutela, che, viceversa, persiste “fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 4”, cioè congiuntamente all’intervento ammesso in caso di pericolo di danno per gli interessi ivi indicati», nonché alcune decisioni del giudice amministrativo pronunciate nella materia. Deduce, quindi, che in base all’art. 19 della legge n. 241 del 1990, sussistono in capo all’Amministrazione una pluralità di poteri inibitori e ripristinatori. Tanto premesso, assume che nella disciplina censurata viene in rilievo il potere ordinario di vigilanza e controllo spettante all’Amministrazione, che rimane inalterato, come affermato dalla sentenza n. 188 del 2012. Tale ricostruzione troverebbe conferma: − nel comma 6-bis dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, che stabilisce che rimangono ferme le disposizioni, relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni, previste dal d.P.R. n. 380 del 2001 e dalle leggi regionali; − nell’art. 21 della legge n. 241 del 1990 che al comma 2-bis, espressamente dispone che restano ferme le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti, anche se è stato dato inizio all’attività ai sensi degli artt. 19 e 20 della medesima legge n. 241 del 1990. Nella specie, peraltro, rileva Considerato in diritto 1.− Il Tribunale
amministrativo regionale per 2.− La disposizione impugnata, si inserisce nell’art. 84-bis della legge regionale n. 1 del 2005, la cui rubrica reca «Poteri di vigilanza in caso di SCIA». Il comma 2 in questione, prevede: «Nei casi di SCIA relativa ad interventi di cui all’articolo 79, comma 1, lettere b), d), e) ed f) e di cui all’articolo 79, comma 2, lettere a), b), c) ed e), decorso il termine di trenta giorni di cui all’articolo 84, comma 6, possono essere adottati provvedimenti inibitori e sanzionatori qualora ricorra uno dei seguenti casi: […] b) in caso di difformità dell’intervento dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali, degli atti di governo del territorio o dei regolamenti edilizi». 3.− L’art. 84-bis della legge regionale n. 1 del 2005, è stato introdotto dall’art. 22 della legge della Regione Toscana 5 agosto 2011, n. 40, che reca «Modifiche alla legge regionale 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio), alla legge regionale 9 settembre 1991, n. 47 (Norme sull’eliminazione delle barriere architettoniche), alla legge regionale 8 maggio 2009, n. 24 (Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell’economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente) e alla legge regionale 8 febbraio 2010, n. 5 (Norme per il recupero abitativo dei sottotetti)», e successivamente abrogato (così come la stessa legge reg. n. 1 del 2005) dall’art. 254, comma 1, lettera a), della legge della Regione Toscana 10 novembre 2014, n. 65 (Norme per il governo del territorio). 4.− L’intervenuta
abrogazione non assume rilievo, atteso che, come 5.− Alla stregua dello stesso principio non assumono rilievo le modifiche che la legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), intervenuta successivamente all’ordinanza di rimessione, ha apportato all’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), la cui disciplina, nella parte in cui regola l’esercizio dei poteri di conformazione dell’attività del privato, di autotutela e di intervento dell’Amministrazione, in presenza di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), è invocata dal ricorrente come principio fondamentale della materia «governo del territorio». 6.− Secondo il TAR la disposizione impugnata sarebbe affetta da illegittimità costituzionale in quanto consentirebbe all’Amministrazione di esercitare poteri sanzionatori per la repressione degli abusi edilizi, anche oltre il termine di trenta giorni dalla presentazione della SCIA, in un numero di ipotesi più ampio rispetto a quello previsto dai commi 3 e 4 dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990. 6.1.− Più radicalmente poi, il rimettente osserva che nella disposizione in questione il potere attribuito all’Amministrazione sarebbe quello generale di controllo e non di autotutela, come previsto dalla normativa statale (comma 3 dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990). 6.2.− Il contrasto tra la disciplina statale e quella regionale, comporta, pertanto, ad avviso del TAR Toscana, la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, con riguardo alla violazione dei principi fondamentali della materia edilizia, rientrante in quella più generale del «governo del territorio» oggetto di competenza legislativa concorrente ex art. 117, terzo comma, Cost., in quanto la disciplina statale dei titoli edilizi costituisce norma di principio. 6.3.− Il rimettente, inoltre, deduce un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale per il mancato rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali stabiliti con legge dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. 7.− Il primo profilo di illegittimità costituzionale prospettato, di violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., è fondato. 8.− È giurisprudenza pacifica che, nell’ambito della
materia concorrente «governo del territorio», prevista dal comma in
questione, i titoli abilitativi agli interventi edilizi costituiscono oggetto
di una disciplina che assurge a principio fondamentale (sentenze n. 259
del 2014, n. 139 e n. 102 del 2013, n. 303 del 2003), e tale valutazione deve
ritenersi valida anche per la denuncia di inizio
attività (DIA) e per Va subito soggiunto, peraltro, che tale fattispecie ha una struttura complessa e non si esaurisce, rispettivamente, con la dichiarazione o la segnalazione, ma si sviluppa in fasi ulteriori: una prima, di ordinaria attività di controllo dell’Amministrazione (rispettivamente nei termini di sessanta e trenta giorni); una seconda, in cui può esercitarsi l’autotutela amministrativa. Non vi è dubbio, infatti, che anche le condizioni e le modalità di esercizio dell’intervento della pubblica amministrazione, una volta che siano decorsi i termini in questione, debbano considerarsi il necessario completamento della disciplina di tali titoli abilitativi, poiché la individuazione della loro consistenza e della loro efficacia non può prescindere dalla capacità di resistenza rispetto alle verifiche effettuate dall’Amministrazione successivamente alla maturazione degli stessi. La disciplina di questa fase ulteriore, dunque, è parte integrante di quella del titolo abilitativo e costituisce con essa un tutt’uno inscindibile. Il suo perno è costituito da un istituto di portata generale – quello dell’autotutela –che si colloca allo snodo delicatissimo del rapporto fra il potere amministrativo e il suo riesercizio, da una parte, e la tutela dell’affidamento del privato, dall’altra. Non è un caso, del resto, che è proprio a questa fase della formazione dei titoli in esame che il legislatore abbia dedicato la maggiore attenzione, ritornando più volte sull’argomento, al fine di pervenire ad un giusto equilibrio fra le esigenze di certezza delle situazioni giuridiche maturate a seguito della DIA e della SCIA e le ragioni di tutela dell’interesse pubblico urbanistico. Ne discende che anche per questa parte la disciplina in questione costituisce espressione di un principio fondamentale della materia «governo del territorio». 8.1.− Con riguardo alla portata dei «principi fondamentali» riservati alla legislazione statale nelle materie di potestà concorrente, questa Corte ha avuto modo di chiarire, tra l’altro, che «il rapporto tra normativa di principio e normativa di dettaglio […] deve essere inteso nel senso che l’una è volta a prescrivere criteri ed obiettivi, mentre all’altra spetta l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi» (sentenze n. 272 del 2013 e n. 237 del 2009). Ebbene, la normativa regionale in esame, nell’attribuire all’Amministrazione un potere di intervento, lungi dall’adottare una disciplina di dettaglio, ha introdotto una normativa sostitutiva dei principi fondamentali dettati dal legislatore statale; pertanto viene proprio a toccare i punti nevralgici del sistema elaborato nella legge sul procedimento amministrativo (sede già di per sé significativa) e cioè il potere residuo dell’Amministrazione, a termini ormai decorsi, e il suo ambito di esercizio (in concreto, i casi che ne giustificano l’attivazione). Essa, dunque, comporta l’invasione della riserva di competenza statale alla formulazione di principi fondamentali, con tutti i rischi per la certezza e per l’unitarietà della disciplina che tale invasione comporta; e ciò tanto più in una materia che, come è noto, e come dimostrano le sue frequenti modifiche, presenta delicati e complessi problemi applicativi. 9.− La fondatezza della questione di costituzionalità con riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., comporta l’assorbimento dell’ulteriore censura di violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Per questi motivi dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 84-bis, comma 2, lettera b), della legge della Regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio). Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 gennaio 2016. F.to: Marta CARTABIA, Presidente Giancarlo CORAGGIO, Redattore Roberto MILANA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2016. |
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