Aggiornamento - Amministrativo |
CORTE
DI GIUSTIZIA U.E., SEZ. III – sentenza 4 marzo 2015(causa
C‑534/13) inquinamento misure proprietario non responsabile La
direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile
2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione
del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una
normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale,
la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il
responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo
le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di
imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al
proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese
relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite
del valore di mercato del sito, determinato dopo l’esecuzione di tali
interventi. Sentenza 1 La domanda
di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dei principi del
diritto dell’Unione in materia ambientale, segnatamente i principi del
«chi inquina paga», di precauzione, dell’azione preventiva e della
correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati
all’ambiente, quali previsti all’articolo 191, paragrafo 2, TFUE, ai considerando 13 e 24, e agli articoli 1 e 8,
paragrafo 3, della direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di
prevenzione e riparazione del danno ambientale (GU L 143, pag. 56). 2 Tale domanda è
stata presentata nell’ambito di tre controversie, di cui le prime due
sono tra il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del
Mare, il Ministero della Salute e l’Ispra – Istituto
Superiore per Contesto normativo Il
diritto dell’Unione 3
L’articolo 191, paragrafo 2, primo comma,
TFUE, enuncia quanto segue: «La politica dell’Unione in materia ambientale mira a un
elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni
nelle varie regioni
dell’Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e
dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via
prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”». 4 I
considerando 1, 2, 13, 18, 20, 24 e 30 della
direttiva 2004/35 sono formulati nel seguente modo: «(1) Nella Comunità esistono attualmente molti siti
contaminati, che comportano rischi significativi per la salute, e negli
ultimi decenni vi è stata una forte accelerazione della perdita di
biodiversità. Il non intervento potrebbe provocare in futuro
ulteriori contaminazioni dei siti e una perdita di biodiversità ancora
maggiore. La prevenzione e la riparazione, nella misura del possibile, del
danno ambientale contribuisce a realizzare gli
obiettivi ed i principi della politica ambientale comunitaria, stabiliti nel
trattato. Occorre tener conto delle circostanze locali allorché
si decide come riparare il danno. (2) La prevenzione e
la riparazione del danno ambientale dovrebbero essere attuate applicando il
principio “chi inquina paga”, quale stabilito nel trattato e
coerentemente con il principio dello sviluppo sostenibile. Il principio
fondamentale della presente direttiva dovrebbe essere quindi che l’operatore
la cui attività ha causato un danno ambientale o la minaccia imminente di
tale danno sarà considerato finanziariamente responsabile in modo da indurre
gli operatori ad adottare misure e a sviluppare pratiche atte a ridurre al
minimo i rischi di danno ambientale. (…) (13) A non tutte le
forme di danno ambientale può essere posto rimedio attraverso la
responsabilità civile. Affinché quest’ultima sia efficace
è necessario che vi siano uno o più inquinatori individuabili, il danno
dovrebbe essere concreto e quantificabile e si dovrebbero accertare nessi
causali tra il danno e gli inquinatori individuati. La responsabilità civile
non è quindi uno strumento adatto per trattare l’inquinamento a
carattere diffuso e generale nei casi in cui sia impossibile collegare gli
effetti ambientali negativi a atti o omissioni di
taluni singoli soggetti. (…) (18) Secondo il
principio “chi inquina paga”, l’operatore che provoca un
danno ambientale o è all’origine di una minaccia imminente di tale
danno dovrebbe di massima sostenere il costo delle necessarie misure di
prevenzione o di riparazione. Quando l’autorità competente interviene
direttamente o tramite terzi al posto di un operatore, detta autorità
dovrebbe far si che il costo da essa sostenuto sia a carico dell’operatore.
È inoltre opportuno che gli operatori sostengano in definitiva il costo della
valutazione del danno ambientale ed eventualmente della valutazione della
minaccia imminente di tale danno. (…) (20) Non si dovrebbe
chiedere ad un operatore di sostenere i costi di misure di prevenzione o
riparazione adottate conformemente alla presente direttiva in situazioni in
cui il danno in questione o la minaccia imminente di esso derivano da eventi
indipendenti dalla volontà dell’operatore. Gli Stati membri possono
consentire che gli operatori, di cui non è accertato il dolo o la colpa, non
debbano sostenere il costo di misure di riparazione in situazioni in cui il
danno in questione deriva da emissioni o eventi espressamente autorizzati o
la cui natura dannosa non era nota al momento del loro verificarsi. (…) (24) È necessario
assicurare la disponibilità di mezzi di applicazione ed esecuzione efficaci,
garantendo un’adeguata tutela dei legittimi interessi degli operatori e
delle altre parti interessate. Si dovrebbero conferire alle autorità
competenti compiti specifici che implicano appropriata discrezionalità
amministrativa, ossia il dovere di valutare l’entità del danno e di
determinare le misure di riparazione da prendere. (…) (30) La presente
direttiva non si dovrebbe applicare al danno cagionato prima dello scadere
del termine per la sua attuazione». 5 La
direttiva 2004/35, ai sensi del suo articolo 1,
istituisce un quadro per la responsabilità ambientale basato sul principio
«chi inquina paga». 6
L’articolo 2, punto 6, di detta direttiva
definisce la nozione di «operatore» come «qualsiasi persona fisica o
giuridica, sia essa pubblica o privata, che esercita o controlla
un’attività professionale oppure, quando la legislazione nazionale lo
prevede, a cui è stato delegato un potere economico decisivo sul
funzionamento tecnico di tale attività, compresi il titolare del permesso o
dell’autorizzazione a svolgere detta attività o la persona che registra
o notifica l’attività medesima». 7 Ai sensi
dell’articolo 2, punto 7, della medesima
direttiva la nozione di «attività professionale» è definita come qualsiasi
«attività svolta nel corso di un’attività economica, commerciale o
imprenditoriale, indipendentemente dal fatto che abbia carattere pubblico o
privato o che persegua o meno fini di lucro». 8
L’articolo 2, punti 10 e 11, della direttiva
2004/35 così definisce le seguenti nozioni: «10. “misure
di prevenzione”: le misure prese per reagire a
un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente
di danno ambientale, al fine di impedire o minimizzare tale danno; 11.
“misure di riparazione”: qualsiasi azione o combinazione di
azioni, tra cui misure di attenuazione o provvisorie dirette a riparare,
risanare o sostituire risorse naturali e/o servizi naturali danneggiati,
oppure a fornire un’alternativa equivalente a
tali risorse o servizi, come previsto nell’allegato II». 9
L’articolo 3 della direttiva suddetta,
intitolato «Campo d’applicazione», al suo paragrafo 1, precisa quanto
segue: «La presente
direttiva si applica: a) al danno
ambientale causato da una delle attività professionali elencate
nell’allegato III e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno a
seguito di una di dette attività; b) al danno
alle specie e agli habitat naturali protetti causato da una delle attività
professional[i] non elencata nell’allegato III e a qualsiasi minaccia
imminente di tale danno a seguito di una di dette
attività, in caso di comportamento doloso o colposo dell’operatore». 10 Ai sensi
dell’articolo 4, paragrafo 5, della medesima
direttiva, quest’ultima «si applica al danno ambientale o alla minaccia
imminente di tale danno causati da inquinamento di carattere diffuso
unicamente quando sia possibile accertare un nesso causale tra il danno e le
attività di singoli operatori». 11
L’articolo 5 della direttiva 2004/35,
intitolato «Azione di prevenzione», è redatto nei seguenti termini: «1. Quando un
danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente
che si verifichi, l’operatore adotta, senza
indugio, le misure di prevenzione necessarie. (…) 3.
L’autorità competente, in qualsiasi momento, ha facoltà di: (…) b) chiedere
all’operatore di prendere le misure di prevenzione necessarie; (…) d) adottare
essa stessa le misure di prevenzione necessarie. 4. L’autorità
competente richiede che l’operatore adotti le misure di prevenzione. Se
l’operatore non si conforma agli obblighi previsti al paragrafo 1 o al paragrafo 3, lettere b) o c), se non può essere
individuato, o se non è tenuto a sostenere i costi a norma della presente
direttiva, l’autorità competente ha facoltà di adottare essa stessa
tali misure». 12 L’articolo 6 di detta direttiva, intitolato «Azione
di riparazione», recita: «1. Quando si
è verificato un danno ambientale, l’operatore comunica senza indugio
all’autorità competente tutti gli aspetti pertinenti della situazione e
adotta: a) tutte le
iniziative praticabili per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in
altro modo, con effetto immediato, gli inquinanti in questione e/o qualsiasi
altro fattore di danno, allo scopo di limitare o prevenire ulteriori
danni ambientali e effetti nocivi per la salute umana o ulteriori
deterioramenti ai servizi e b) le
necessarie misure di riparazione (…) 2.
L’autorità competente, in qualsiasi momento, ha facoltà di: (…) c) chiedere
all’operatore di prendere le misure di riparazione
necessarie; (…) e) adottare
essa stessa le misure di riparazione necessarie. 3.
L’autorità competente richiede che l’operatore adotti le misure
di riparazione. Se l’operatore non si conforma agli obblighi previsti
al paragrafo 1 o al paragrafo 2, lettere b), c) o
d), se non può essere individuato o se non è tenuto a sostenere i costi a
norma della presente direttiva, l’autorità competente ha facoltà di
adottare essa stessa tali misure, qualora non le rimangano altri mezzi». 13
L’articolo 8, paragrafi 1 e 3, della medesima
direttiva così dispone: «1.
L’operatore sostiene i costi delle azioni di prevenzione e di
riparazione adottate in conformità della presente direttiva. (…) 3. Non sono a carico dell’operatore i costi delle azioni di
prevenzione o di riparazione adottate conformemente alla presente direttiva
se egli può provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale
danno: a) è stato
causato da un terzo, e si è verificato nonostante l’esistenza di
opportune misure di sicurezza, o b) è
conseguenza dell’osservanza di un ordine o istruzione obbligatori
impartiti da una autorità pubblica, diversa da un
ordine o istruzione impartiti in seguito a un’emissione o a un incidente
causati dalle attività dell’operatore. In tali casi
gli Stati membri adottano le misure appropriate per consentire
all’operatore di recuperare i costi sostenuti». 14
L’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva
2004/35 ha il seguente tenore: «Spetta all’autorità
competente individuare l’operatore che ha causato il danno o la
minaccia imminente di danno, valutare la gravità del
danno e determinare le misure di riparazione da prendere a norma
dell’allegato II (…)». 15
L’articolo 16 della direttiva 2004/35,
intitolato «Relazione con il diritto nazionale», enuncia, al suo paragrafo 1,
che la direttiva «non preclude agli Stati membri di mantenere o adottare
disposizioni più severe in materia di prevenzione e riparazione del danno
ambientale, comprese l’individuazione di altre attività da assoggettare
agli obblighi di prevenzione e di riparazione previsti da [detta] direttiva e
l’individuazione di altri soggetti responsabili». 17
L’allegato III di tale direttiva elenca dodici attività ritenute
pericolose dal legislatore ai sensi dell’articolo 3,
paragrafo 1, di detta direttiva. Il
diritto italiano 18
L’articolo 240, comma 1, lettere m) e p), del
decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia
ambientale (supplemento ordinario alla GURI n. 88, del 14 aprile 2006),
nella versione in vigore alla data dei fatti del procedimento principale (in
prosieguo: il «codice dell’ambiente»), è contenuto nel titolo V della
parte IV. Tale disposizione definisce le misure di messa in sicurezza di
emergenza e di bonifica dei siti. 19
L’articolo 242 del codice dell’ambiente intitolato «procedure
operative ed amministrative» disciplina con un certo
livello di dettaglio gli oneri ricadenti sul soggetto responsabile
dell’inquinamento, che si tratti di contaminazione recente o storica,
per quanto riguarda in particolare l’adozione delle misure necessarie
di prevenzione, di ripristino e di messa in sicurezza d’urgenza, la
comunicazione nei confronti di soggetti pubblici competenti e
l’esecuzione di attività di bonifica. 20
L’articolo 244 di detto codice, rubricato «ordinanze» disciplina il
caso in cui sia stato accertato che la contaminazione verificatasi nel caso
concreto abbia superato i valori di concentrazione della soglia di contaminazione. In questo caso, 21
L’articolo 245 di detto codice, intitolato «obblighi di
intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della
potenziale contaminazione», al comma 1 così prevede: «Le procedure
per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino
ambientale disciplinate dal presente titolo possono essere comunque attivate
su iniziativa degli interessati non responsabili». 22
L’articolo 245, comma 2, del medesimo codice
dispone quanto segue: «Fatti salvi
gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui
all’articolo 242, il proprietario o il gestore dell’area che
rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della
concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla
regione, alla provincia ed al comune
territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la
procedura di cui all’articolo 242. La provincia, una volta ricevute le comunicazioni di cui sopra, si attiva, sentito
il comune, per l’identificazione del soggetto responsabile al fine di
dar corso agli interventi di bonifica. È comunque riconosciuta al
proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in
qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di
bonifica necessari nell’ambito del sito in
proprietà o disponibilità». 23
L’articolo 250 del codice dell’ambiente rubricato «bonifica da
parte dell’amministrazione» cosi dispone: «Qualora i
soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli
adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non
provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le
procedure e gli interventi di cui all’articolo 242 sono realizzati
d’ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda,
dalla regione, secondo l’ordine di priorità fissati dal piano regionale
per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti
pubblici o privati, individuati ad esito di apposite
procedure ad evidenza pubblica (…)». 24
L’articolo 253 di detto codice intitolato «oneri reali e privilegi
speciali» ai commi da «1. Gli
interventi di cui al presente titolo costituiscono onere reale sui siti
contaminati qualora effettuati d’ufficio dall’autorità competente
ai sensi dell’articolo 250. (…) 2. Le spese
sostenute per gli interventi di cui al comma 1 sono
assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, ai sensi e
per gli effetti dell’articolo 2748, secondo comma, del codice civile.
Detto privilegio si può esercitare anche in
pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull’immobile. 3. Il
privilegio e la ripetizione delle spese possono
essere esercitati, nei confronti del proprietario del sito incolpevole
dell’inquinamento o del pericolo di inquinamento, solo a seguito di
provvedimento motivato dell’autorità competente che giustifichi, tra
l’altro, l’impossibilità di accertare l’identità del
soggetto responsabile ovvero che giustifichi l’impossibilità di
esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la
loro infruttuosità. Procedimento
principale e questione pregiudiziale 25 Dagli
elementi del fascicolo a disposizione della Corte emerge che, nel periodo
compreso tra gli anni ‘60 e gli anni ‘80, 26 Durante
gli anni 2006 e 2008, 27 Durante il
2011, 28 Con
provvedimenti amministrativi del 18 maggio 2007, del 16 settembre e 7
novembre 2011, le direzioni competenti del Ministero hanno ingiunto
rispettivamente alla Tws Automation, alla Ivan e
alla Fipa Group l’esecuzione di misure specifiche di «messa in
sicurezza d’urgenza», ai sensi del codice dell’ambiente, ossia la
realizzazione di una barriera idraulica di emungimento per la protezione
della nappa freatica e la presentazione di una variante al progetto di
bonifica del terreno esistente dal 1995. Tali decisioni sono state
indirizzate alle tre imprese in qualità di
«custod[i] dell’area». 29 Deducendo
la circostanza che esse non erano autrici della contaminazione constatata,
tali società hanno adito il Tribunale amministrativo regionale della Toscana,
che, con tre sentenze distinte, ha annullato tali provvedimenti in ragione
del fatto che, ai sensi del principio «chi inquina paga», proprio del diritto
dell’Unione e della normativa nazionale in materia ambientale,
l’amministrazione non poteva imporre, sulla base delle disposizioni del
titolo V della parte IV del codice dell’ambiente, l’esecuzione
delle misure in parola ad imprese che non hanno
alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno di
contaminazione accertato nel sito. 30 Il
Ministero ha appellato dette sentenze dinanzi al
Consiglio di Stato. 31 Secondo il
Ministero, un’interpretazione delle disposizioni del titolo V della parte IV del codice dell’ambiente alla luce
del principio «chi inquina paga» e del principio di precauzione consentirebbe
di considerare che il proprietario di un sito contaminato sia tenuto
all’esecuzione di misure di messa in sicurezza di emergenza. 32 La sezione
del Consiglio di Stato adita ha rimesso all’Adunanza Plenaria del
medesimo giudice la questione se, in base al principio «chi inquina paga»,
l’amministrazione nazionale possa imporre al proprietario di
un’aera inquinata, che non sia anche l’autore
dell’inquinamento, l’obbligo di porre in essere le misure di
messa in sicurezza di emergenza di cui all’articolo 240, comma 1, lettera m), di detto codice, ovvero se, in
un’ipotesi del genere, tale proprietario sia tenuto solo agli oneri
reali espressamente previsti all’articolo 253 del medesimo codice. 33 Con atto
del 21 novembre 2013, 34 Nella sua
decisione di rinvio, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato rileva
che la giurisprudenza amministrativa italiana non è concorde
sull’interpretazione delle disposizioni della parte IV del codice
dell’ambiente e, più in generale, su quelle relative
agli obblighi del proprietario di un sito contaminato. 35 Infatti, mentre una parte della giurisprudenza, basandosi
tra l’altro, sui principi di precauzione, dell’azione preventiva
e del «chi inquina paga», propri del diritto dell’Unione, ritiene che
il proprietario sia tenuto ad adottare le misure di messa in sicurezza di emergenza
e di bonifica anche qualora non sia l’autore della contaminazione,
un’altra parte dei giudici italiani esclude, al contrario, qualsiasi
responsabilità del proprietario non responsabile della contaminazione e nega,
di conseguenza, che l’amministrazione possa esigere da tale
proprietario misure del genere. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato condivide quest’ultima opinione, dominante nella giurisprudenza
amministrativa italiana. «Se i
principi dell’Unione Europea in materia ambientale sanciti
dall’articolo 191, paragrafo 2, [TFUE] e dalla
direttiva [2004/35] (articoli l e 8, n. 3; tredicesimo e
ventiquattresimo considerando) – in particolare, il principio
“chi inquina paga”, il principio di precauzione, il principio
dell’azione preventiva, il principio della correzione, in via
prioritaria, alla fonte, dei danni causati all’ambiente –
ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli articoli 244,
245, 253 del [codice dell’ambiente], che, in caso di accertata
contaminazione di un sito e di impossibilità di individuare il soggetto
responsabile della contaminazione o di impossibilità di ottenere da
quest’ultimo gli interventi di riparazione, non consenta
all’autorità amministrativa di imporre l’esecuzione delle misure
di sicurezza d’emergenza e di bonifica al proprietario non responsabile
dell’inquinamento, prevedendo, a carico di quest’ultimo, soltanto
una responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito dopo
l’esecuzione degli interventi di bonifica». Sulla
questione pregiudiziale 38 Con la sua
questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se i principi del
diritto dell’Unione in materia ambientale, quali quelli sanciti
dall’articolo 191, paragrafo 2, TFUE e dalla
direttiva 2004/35, segnatamente, il principio «chi inquina paga», debbano
essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale, come
quella di cui trattasi nel procedimento principale, che, nel caso in cui sia
impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o di
ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente
all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di
prevenzione e di riparazione al proprietario di tale terreno, non
responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso
delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente
nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo
l’esecuzione di tali interventi. Sull’applicabilità dell’articolo 191,
paragrafo 2, TFUE 39 Occorre
ricordare che l’articolo 191, paragrafo 2,
TFUE afferma che la politica dell’Unione in materia ambientale mira a
un livello elevato di protezione e si basa, segnatamente, sul principio «chi
in inquina paga». Tale disposizione si limita pertanto a definire gli
obiettivi generali dell’Unione in materia ambientale, mentre
l’articolo 192 TFUE affida al Parlamento europeo e al Consiglio
dell’Unione europea, che deliberano secondo la procedura legislativa
ordinaria, il compito di decidere le azioni da avviare al fine del
raggiungimento di detti obiettivi (v. sentenze ERG e a., EU:C:2010:126, punto 45; ERG e a., EU:C:2010:127, punto
38, e ordinanza Buzzi Unicem e a., C‑478/08 e C‑479/08,
EU:C:2010:129, punto 35). 40 Di
conseguenza, dal momento che l’articolo 191,
paragrafo 2, TFUE, che contiene il principio «chi inquina paga», è rivolto
all’azione dell’Unione, detta disposizione non può essere
invocata in quanto tale dai privati al fine di escludere l’applicazione
di una normativa nazionale, quale quella oggetto della causa principale,
emanata in una materia rientrante nella politica ambientale, quando non sia
applicabile nessuna normativa dell’Unione adottata in base
all’articolo 192 TFUE, che disciplini specificamente
l’ipotesi di cui trattasi (v. sentenze ERG e a., EU:C:2010:126,
punto 46; ERG e a., EU:C:2010:127, punto 39, e ordinanza Buzzi Unicem
e a., EU:C:2010:129, punto 36). 41 Parimenti,
l’articolo 191, paragrafo 2, TFUE non può
essere invocato dalle autorità competenti in materia ambientale per imporre
misure di prevenzione e riparazione in assenza di un fondamento giuridico
nazionale. 42 Occorre
tuttavia rilevare che il principio «chi inquina paga» può trovare
applicazione nelle controversie di cui al procedimento principale nei limiti
in cui esso è attuato dalla direttiva 2004/35. Tale direttiva, adottata sulla
base dell’articolo 175 CE, divenuto l’odierno articolo
192 TFUE, ai sensi della terza frase del considerando 1,
intende garantire la realizzazione «degli obiettivi e dei principi della
politica ambientale [dell’Unione], quali stabiliti nel Trattato» e
applica il principio «chi inquina paga» come enuncia il suo considerando 2. Sull’applicabilità ratione temporis della direttiva 2004/35 43 Tenuto conto
della circostanza che, secondo gli elementi di fatto contenuti nel fascicolo
di cui dispone 44 Infatti, dall’articolo 17, primo e secondo
trattino, di detta direttiva, letto in combinato disposto con il suo
considerando 30, risulta che tale direttiva si applica unicamente al danno causato
da un’emissione, un evento o un incidente verificatosi il 30 aprile
2007 o dopo tale data quando tale danno derivi vuoi da attività svolte in
tale data o successivamente ad essa, vuoi da attività svolte precedentemente
a tale data ma non terminate prima di essa (v., in tal senso, sentenze ERG
e a., EU:C:2010:126, punti 40 e 41; ERG e a., EU:C:2010:127, punto
34, e ordinanza Buzzi Unicem e a., EU:C:2010:129, punto 32). 45 È
necessario che il giudice del rinvio verifichi, in base ai fatti che esso solo
è in grado di valutare, se nella causa principale i danni che sono oggetto
delle misure di prevenzione e di riparazione imposte dalle autorità nazionali
rientrino o meno nell’ambito di applicazione
della direttiva 2004/35 come definito dall’articolo 17 della medesima
(v., in tal senso, sentenza ERG e a., EU:C:2010:126, punto 43). 46 Qualora
tale giudice dovesse giungere alla conclusione che
detta direttiva non è applicabile nelle cause di cui è investito,
un’ipotesi del genere dovrebbe allora essere disciplinata
dall’ordinamento nazionale, nel rispetto delle norme del Trattato e
fatti salvi altri eventuali atti di diritto derivato (v. sentenze ERG
e a., EU:C:2010:126, punto 44; ERG e a., EU:C:2010:127, punto 37,
nonché ordinanza Buzzi Unicem e a., EU:C:2010:129, punto 34). 47 Nel caso
in cui il giudice del rinvio dovesse giungere alla
conclusione che la stessa direttiva è applicabile ratione temporis
alle controversie di cui al procedimento principale occorre esaminare la
questione pregiudiziale come segue. Sulla
nozione di «operatore» 48 Da una
lettura combinata dell’articolo 3, paragrafo
1, della direttiva 2004/35 e dei considerando 2 e 18 nonché degli articoli 2,
punti 6 e 7, 5, 6, 8 e 11, paragrafo 2, della stessa direttiva, risulta che
uno dei presupposti essenziali per l’applicazione del regime di
responsabilità istituito da tali disposizioni è l’individuazione di un
operatore che possa essere qualificato come responsabile. 49 La seconda
frase del considerando 2 della direttiva 2004/35
afferma, infatti, che il principio fondamentale di tale direttiva dovrebbe
essere che l’operatore la cui attività ha causato un danno ambientale o
la minaccia imminente di tale danno sia considerato economicamente
responsabile. 50 Come 51 Parimenti,
l’articolo 8 di tale direttiva, intitolato
«Costi di prevenzione e di riparazione» dispone al suo paragrafo 1 che è tale
operatore che sostiene i costi delle azioni di prevenzione e riparazione
adottate in conformità della direttiva in questione. Le autorità competenti,
in forza dell’articolo 11, paragrafo 2, della
medesima direttiva, hanno l’obbligo di individuare l’operatore
che ha causato il danno. 52 Per
contro, le persone diverse da quelle definite all’articolo 2, punto 6, della direttiva 2004/35, vale a dire quelle
che non esercitano un’attività professionale, ai sensi
dell’articolo 2, punto 7, di tale direttiva, non rientrano
nell’ambito di applicazione della stessa direttiva, circoscritto
dall’articolo 3, paragrafo 1, lettere a) e b), della stessa. 53 Orbene,
nella fattispecie, come emerge dagli elementi di fatto esposti dal giudice
del rinvio e confermati da tutte le parti del procedimento principale durante
l’udienza, nessuna delle parti appellate nel procedimento principale
svolge attualmente una delle attività elencate
nell’allegato III della direttiva 2004/35. In tali circostanze, occorre
esaminare in che limiti dette parti appellate nel procedimento principale
possano rientrare nell’ambito di applicazione di tale direttiva in
forza dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera
b), della stessa, il quale si riferisce ai danni provocati da attività
diverse da quelle elencate in detto allegato in caso di comportamento doloso
o colposo dell’operatore. Sui
requisiti della responsabilità ambientale 54 Come
emerge dagli articoli 4, paragrafo 5, e 11,
paragrafo 2, della direttiva 2004/35, in combinato disposto con il considerando
13 della stessa, affinché il regime di responsabilità ambientale sia
efficace, è necessario che sia accertato dall’autorità competente un
nesso causale tra l’azione di uno o più operatori individuabili e il
danno ambientale concreto e quantificabile al fine dell’imposizione a
tale operatore o a tali operatori di misure di riparazione, a prescindere dal
tipo di inquinamento di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza ERG
e a., EU:C:2010:126, punti 52 e 53, e ordinanza Buzzi Unicem e a.,
EU:C:2010:129, punto 39). 55
Nell’interpretare l’articolo 3,
paragrafo 1, lettera a), di tale direttiva, 56 Come
emerge dall’articolo 4, paragrafo 5, della
direttiva 2004/35, detto obbligo sussiste anche nell’ambito del regime
della responsabilità ambientale soggettiva derivante dal comportamento doloso
o colposo dell’operatore di cui all’articolo 3, paragrafo 1,
lettera b), di tale direttiva nel caso di attività professionali diverse da
quelle di cui all’allegato III di detta direttiva. 57 La
particolare importanza del requisito di causalità tra l’attività
dell’operatore e il danno ambientale ai fini dell’applicazione
del principio «chi inquina paga» e, di conseguenza, del regime di
responsabilità istituito dalla direttiva 2004/35, emerge
altresì dalle disposizioni di quest’ultima riguardanti le conseguenze
da trarre dalla circostanza che l’operatore non abbia contribuito
all’inquinamento o al rischio di inquinamento. 59 Allorché non può essere dimostrato alcun nesso causale tra
il danno ambientale e l’attività dell’operatore, tale situazione
rientra nell’ambito dell’ordinamento giuridico nazionale, alle
condizioni ricordate al punto 46 della presente sentenza (v,. in tal senso,
sentenza ERG e a., EU:C:2010:126, punto 59, e ordinanza Buzzi Unicem
e a., EU:C:2010:129, punti 43 e 48). 60 Orbene,
nella specie, dagli elementi forniti alla Corte e dalla formulazione stessa
della questione pregiudiziale emerge che le appellate nel procedimento
principale non hanno contribuito alla formazione dei danni ambientali di cui
trattasi, circostanza che spetta al giudice del rinvio confermare. 61 È ben vero
che l’articolo 16 della direttiva 2004/35
prevede, conformemente all’articolo 193 TFUE, la facoltà per gli
Stati membri di mantenere e adottare disposizioni più severe in materia di
prevenzione e riparazione del danno ambientale, compresa, in particolare,
l’individuazione di altri soggetti responsabili, a condizione che tali
misure siano compatibili con i Trattati. 62 Tuttavia,
nella specie, è pacifico che, secondo il giudice del rinvio, la normativa di
cui trattasi nel procedimento principale non consente di imporre misure di
riparazione al proprietario non responsabile della contaminazione,
limitandosi al riguardo a prevedere che siffatto proprietario può essere
tenuto al rimborso dei costi relativi agli
interventi intrapresi dall’autorità competente nei limiti del valore
del terreno, determinato dopo l’esecuzione di tali interventi. 63 Alla luce
dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere
alla questione pregiudiziale che la direttiva 2004/35 deve essere interpretata
nel senso che non osta a una normativa nazionale come quella di cui trattasi
nel procedimento principale, la quale,
nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della
contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di
riparazione, non consente all’autorità competente di imporre
l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al
proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è
tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati
dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito,
determinato dopo l’esecuzione di tali interventi. Sulle
spese 64 Nei
confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa
costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta
quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per
presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi
motivi, La
direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile
2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione
del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una
normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale,
la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il
responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo
le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di
imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al
proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese
relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite
del valore di mercato del sito, determinato dopo l’esecuzione di tali
interventi. Firme |
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