Aggiornamento - Amministrativo |
Cass., Sez. un., sentenza 1.1. Con unico motivo di ricorso ci si duole di erronea pronuncia sulla giurisdizione e di violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 63 d.lgs. n. 165 del 2001, degli artt. 30, comma 3, 32 e 33, comma 1, lett. c) e 55, comma 3, dello Statuto della Regione Lazio, nonché degli artt. 7, comma 1, lett. a) e 62 del regolamento regionale n. 1 del 2002. Sostiene il ricorrente che la giurisdizione è del giudice amministrativo sotto vari profili: vuoi perché l’azione è stata proposta deducendo la lesione di prerogative previste per gli organi rappresentativi da norme di rango costituzionale (atteso che le nomine de quibus sono avvenute senza il preventivo parere della VI Commissione consiliare competente in materia ambientale), sicché la situazione giuridica soggettiva è costituita da tali prerogative e non riguarda la gestione di rapporti di lavoro; vuoi perché i decreti impugnati altro non sono che gli atti conclusivi d’un procedimento di macro-organizzazione; vuoi – infine – perché la nomina del direttore generale dell’ARPA è un atto di alta amministrazione, in quanto tale pacificamente attribuito alla giurisdizione del giudice amministrativo. 1.2. Il ricorso è infondato, non potendosi ravvisare sotto alcun profilo la giurisdizione del giudice amministrativo. In primo luogo deve osservarsi che il denunciare una lesione di prerogative previste per gli organi rappresentativi da norme di rango costituzionale non consente di per sé di attribuire la giurisdizione al giudice amministrativo anziché a quello ordinario. Anzi, proprio la natura di eventuali prerogative previste per gli organi rappresentativi da norme di rango costituzionale esclude che si verta in tema di meri interessi legittimi. Né si verte in una materia rientrante nel novero – tassativo – delle controversie attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. È, poi, irrilevante definire gli impugnati decreti di nomina come atti conclusivi d’un procedimento di macro-organizzazione: la giurisdizione del giudice amministrativo si radica ove oggetto dell’impugnazione sia, appunto, l’atto di macro-organizzazione in tesi affetto da vizi di legittimità (cfr., da ultimo, Cass. S.U. n. 4881/17), non certo nel caso – inverso – in cui se ne lamenti la non puntuale applicazione (come nella vicenda in esame). Queste S.U. hanno ribadito (cfr. sentenza n. 9185/12) che in tutti i casi nei quali vengano in considerazione atti amministrativi presupposti, ove si verta in tema di conferimento e revoca di incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni, è consentita esclusivamente l’instaurazione del giudizio davanti al giudice ordinario, nel quale la tutela è pienamente assicurata dall’eventuale disapplicazione (dell’atto presupposto) e dagli ampi poteri riconosciuti al giudice ordinario medesimo dal comma 2 dello stesso art. 63 (cfr., ancora, Cass. S.U. n. 3677/09 e Cass. S.U. n. 13169/06). A maggior ragione ciò valga quando non venga neppure in rilievo la potenziale disapplicazione d’un atto amministrativo presupposto (come nel caso di specie, in cui – invece – dell’atto presupposto si invoca la piena applicazione). Da ultimo, se è vero che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo rispetto ad atti di alta amministrazione, nondimeno va considerato che, avendo l’art. 63, comma 1, d.lgs. n. 165 del 2001 espressamente attribuito alla giurisdizione del giudice ordinario anche le controversie in tema di conferimento e revoca di incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni, ormai tali atti sono da considerarsi come mere determinazioni negoziali (cfr. Cass. n. 18972/15; Cass. n. 20979/09) e non più atti di alta amministrazione, venendo in tal caso in considerazione come atti di gestione del rapporto di lavoro rispetto ai quali l’amministrazione stessa opera con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro (v. art. 5 cit. dlgs.).
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