Aggiornamento - Amministrativo |
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CONSIGLIO DI STATO,
SEZ. I – parere Numero 00823/2020 e
data REPUBBLICA
ITALIANA Consiglio di Stato Sezione Prima Adunanza di Sezione
del NUMERO AFFARE 00196/2020 OGGETTO: Ministero
dell’economia e delle finanze Schema di contratto
standard per l’affidamento della progettazione, costruzione e gestione
di opere pubbliche a diretto utilizzo della pubblica
amministrazione da realizzare in partenariato pubblico-privato; Vista la relazione
trasmessa con nota prot. n. MEF – RGS –
32188 del Esaminati gli atti e
uditi i relatori Cons. Vincenzo Neri e Cons. Paolo
Carpentieri; Premesso: 1. Con relazione
sottoscritta congiuntamente dal Ragioniere Generale dello Stato e dal
Presidente f.f. dell’Autorità Nazionale
Anticorruzione, debitamente vistata dal Ministro dell’economia e delle
finanze, trasmessa con la nota in oggetto indicata, il Ministero
dell’economia e delle finanze ha qui trasmesso, per
l’acquisizione del parere di questo Consiglio di Stato, “ai
sensi dell’articolo 17, comma 25, lettera c), della legge 5. Il Ministero ha dunque ribadito la centralità del profilo del corretto
e consapevole trattamento contabile e statistico delle operazioni di
partenariato, rispetto al quale il testo elaborato ha fatto ampio riferimento
alle indicazioni fornite da Eurostat, nonché alle osservazioni formulate da
EPEC e da Cassa Depositi e Prestiti in ordine ai profili di bancabilità delle
operazioni. 6. Il Ministero ha dunque concluso la descrizione di carattere generale
del documento trasmesso evidenziando nuovamente come “Lo schema di
contratto standard può rappresentare una efficace guida per la
predisposizione di contratti di partenariato pubblico privato costruiti in
ragione di una corretta allocazione dei rischi tra le parti negoziali ai
fini, sotto il profilo giuridico, di qualificare l’operazione di
partenariato come una concessione e non come un appalto; sotto il profilo
economico, di conseguire un corretto value for money; e sotto il profilo
contabile e statistico, di consentire la classificazione
dell’operazione off balance e di contabilizzare quindi il valore totale
della stessa operazione (parte pubblica e parte privata) sul bilancio
dell’ente concedente come non generativa di nuovo debito e di nuovo
deficit con effetti positivi per la finanza pubblica”. 8. Un’ulteriore specificazione introduttiva rilevante è
evidenziata dal Ministero circa la scelta di redigere lo schema di contratto
“avendo a riferimento le cosiddette “opere fredde”,
ossia le opere per le quali il soggetto privato che le realizza e gestisce
trae la propria remunerazione esclusivamente (o principalmente) dai pagamenti
effettuati dalla pubblica amministrazione”, figura che tuttavia
potrebbe, ad avviso sempre del Ministero, essere facilmente estesa “a
tutte le altre tipologie di opere”. 9. Riguardo alla natura
giuridica e all’efficacia propria del documento in trattazione, il
Ministero ha riferito che “Ai lavori di predisposizione del suddetto
schema ha attivamente partecipato l’Autorità Nazionale Anticorruzione
che ne condivide il contenuto quale strumento di soft regulation in un campo
particolarmente complesso quale il partenariato pubblico privato”. Lo
stesso Ministero ha però precisato che “In coerenza con le
indicazioni di cui agli articoli 71 e 213, comma 2,
del Codice dei contratti pubblici, lo schema di contratto, non potendosi
configurare alla stregua di un bando-tipo, non ha carattere vincolante ma
rappresenta uno strumento di indirizzo per le pubbliche amministrazioni ai
fini di una corretta configurazione dei contratti di partenariato pubblico
privato, in termini sia di allocazione dei rischi sia di contabilizzazione
dell’operazione”. 10. Il Ministero, infine,
ha inteso richiamare l’attenzione su “alcune
questioni preliminari che appaiono dubbie”: a) “Esecuzione
dei lavori e gestione dei servizi da parte dei soggetti terzi —
articoli 15-23 dello schema di contrattò standard”; in proposito il
Ministero ha chiesto a questo Consiglio di Stato “di chiarire se il
Concessionario che si è aggiudicato la gara per l’affidamento in
concessione della progettazione, costruzione e gestione di una determinata
opera sia obbligato ad affidare agli appaltatori eventuali lavori oggetto del
contratto attraverso procedure selettive concorsuali
o se invece possa scegliere gli stessi con procedure semplificate fermo il
rispetto degli obblighi generali di trasparenza, restando salva la libertà
del Concessionario di affidare lavori o servizi in subappalto a terzi senza
il preventivo esperimento di una procedura di gara”; b) “Modifiche al
Contratto — articoli 19 e 32 dello schema di
contratto standard”; in proposito il Ministero ha chiesto a questo
Consiglio di Stato “di esprimere il proprio parere circa la
compatibilità degli eventi non riconducibili al concessionario di cui
all’articolo 32 dello schema di contratto, che consentono il
riequilibrio del piano economico finanziario con il medesimo concessionario,
con le previsioni di cui all’articolo 175, comma 7, del Codice dei
contratti pubblici”. 11. Le amministrazioni
richiedenti hanno poi concentrato l’attenzione in particolare su alcune
clausole contenute nello schema di contratto tipo, sulle
quali hanno specificamente chiesto l’avviso di questo Consiglio
di Stato. Esse possono in estrema sintesi racchiudersi nel seguente elenco: 11.1. Esclusione della
configurazione del contributo pubblico come una condizione necessaria per
raggiungere l’equilibrio economico finanziario nelle cosiddette
“opere fredde” in PPP; 11.2. Distribuzione degli
obblighi e dei rischi relativi all’acquisizione
e alla perdurante validità delle autorizzazioni (art. 9, commi 1 e 2), in
relazione al rilievo di Eurostat circa le possibili ricadute negative di tale
regime sulla bancabilità del progetto; 11.3. Previsione (art. 43 del contratto standard) del passaggio dell’opera
al concedente al termine del contratto, senza il pagamento di un valore
residuo; 11.4. Disciplina dei
termini di pagamento dell’eventuale contributo pubblico riconosciuto a
titolo di prezzo dei lavori da realizzare e del canone di disponibilità
(rispettivamente, articoli 21, comma 2, e 28, comma
2, dello schema di contratto standard), in relazione alla procedura di
infrazione comunitaria n. 2017/2090 per “Non conformità
dell’art. 77 del decreto legislativo 11.5. Profili di
discordanza dello schema di contratto rispetto alle Linee guida ANAC n. 9 del
2018, recanti indicazioni per il monitoraggio delle amministrazioni
aggiudicatrici sull’attività dell’operatore economico nei
contratti di partenariato pubblico-privato, adottate con la delibera n. 318
del 12. Il Ministero ha inoltre informato del fatto che sono in corso di
elaborazione taluni schemi di contratti standard di settore, per ciascuna
tipologia di opera pubblica da realizzare in partenariato pubblico-privato,
presso 13. Il Ministero ha infine insistito sull’urgenza di una pronta
conclusione dell’iter approvativo del contratto standard e
dell’acquisizione del richiesto parere, pur nella consapevolezza che il
quadro normativo di riferimento sarà modificato a breve per l’adozione
del regolamento unico previsto dalla legge Considerato: 1. Profili di inquadramento
generale. L’articolo 17, comma 25, lettera c), della legge Ritiene pertanto Così precisato e delimitato
l’ambito dell’indagine, si procederà dapprima a porre in luce
taluni profili di inquadramento generale ritenuti
dalla Sezione rilevanti ai fini della corretta trattazione dell’affare,
quindi all’esame dei quesiti proposti e, infine, all’indicazione
di talune, ulteriori considerazioni concernenti l’articolato e singole
clausole dello schema di contratto, ritenute problematiche o meritevoli di
speciale attenzione. 2.
L’inquadramento normativo del partenariato pubblico-privato: la
disciplina comunitaria Il partenariato
pubblico-privato non rinviene nelle fonti del diritto eurounitario una
definizione ed una regolamentazione completa. I principi cardine del
partenariato pubblico-privato sono infatti stati
riconosciuti dalla Commissione Europea a partire dal Libro verde del Quest’ultimo
individua nella realizzazione di forme di cooperazione volte a garantire «il
finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione
di un’infrastruttura o la fornitura di un servizio» la ragione
ispiratrice dell’istituto. Fra i tratti comuni alle
diverse strategie negoziali nelle quali si esprime il partenariato
pubblico-privato, Il Libro verde precisa
inoltre che gli Stati membri tendono a ricorrere a siffatte operazioni per
l’esecuzione di infrastrutture; la
cooperazione tra il pubblico e il privato consente infatti di assicurare la
percezione di vantaggi microeconomici mediante il compimento di opere
connotate da un miglior rapporto qualità/prezzo. Vengono individuati, inoltre, due distinti modelli di
partenariato pubblico-privato: quello contrattuale, basato su legami
prettamente contrattuali tra le parti; quello istituzionalizzato, il quale si
contraddistingue per la costituzione di un distinto soggetto giuridico ovvero
per la privatizzazione di un’impresa pubblica preesistente. Nella sua articolazione
contrattuale, lo strumento concessorio costituisce la più diffusa tecnica di
cooperazione fra il settore pubblico e quello privato. Tuttavia, quanto meno dopo l’entrata in vigore del Codice dei
contratti pubblici, il partenariato pubblico privato può articolarsi anche in
altri schemi contrattuali, quali la finanza di progetto, la locazione
finanziaria e il contratto di disponibilità. Le operazioni di
partenariato istituzionalizzato sono invece prevalentemente realizzate
mediante la partecipazione dei soggetti pubblici e privati a società miste destinate alla prestazione di pubblici servizi. 3.
La
disciplina nazionale. Il codice dei contratti
del 2006 e quello del 2016. L’ordinamento
interno perviene ad una prima individuazione
normativa di partenariato pubblico-privato con l’articolo 3, comma
15-ter del previgente d.lgs. Secondo
tale disposizione, “ai fini del presente codice, i «contratti di
partenariato pubblico privato» sono contratti aventi per oggetto una o più
prestazioni quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la
manutenzione di un’opera pubblica o di pubblica utilità, oppure la
fornitura di un servizio, compreso in ogni caso il finanziamento totale o
parziale a carico di privati, anche in forme diverse, di tali prestazioni,
con allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi
comunitari vigenti.
Rientrano, a titolo esemplificativo, tra i contratti di partenariato pubblico
privato la concessione di lavori, la concessione di
servizi, la locazione finanziaria, il contratto di disponibilità,
l’affidamento di lavori mediante finanza di progetto, le società miste.
Possono rientrare altresì tra le operazioni di partenariato pubblico privato
l’affidamento a contraente generale ove il
corrispettivo per la realizzazione dell’opera sia in tutto o in parte
posticipato e collegato alla disponibilità dell’opera per il
committente o per utenti terzi”. In tal modo il Codice del
2006, da un lato, rinunciava a specificare gli elementi della categoria
contrattuale e a indicarne il regime giuridico, dall’altro, individuava
un genus di “contratti di partenariato pubblico-privato”
caratterizzati dall’oggetto, rispetto alle varie species specificamente
indicate all’interno della disposizione (la concessione di lavori, la concessione di servizi, la locazione finanziaria etc.),
come si evince chiaramente dalla locuzione “a titolo
esemplificativo” contenuta nella disposizione appena citata. Con la legge delega All’esito
dell’esercizio di tale delega il nuovo Codice del 2016,
all’articolo 3, comma 1, lettera eee) del
d.lgs. Sotto altro aspetto,
l’art. 180, comma 8, del nuovo Codice ha
previsto che nella tipologia dei contratti di partenariato pubblico-privato
rientrano (anche) “la finanza di progetto, la concessione di
costruzione e gestione, la concessione di servizi, la locazione finanziaria
di opere pubbliche, il contratto di disponibilità e qualunque altra procedura
di realizzazione in partenariato di opere o servizi che presentino le
caratteristiche di cui ai commi precedenti”. Alla regolamentazione
del modello negoziale provvede la parte IV del nuovo codice dei contratti
pubblici, la quale, per un verso, disciplina i rapporti tra remunerazione
delle prestazioni e rischio operativo, le procedure di affidamento e le
modalità di finanziamento dei contratti di partenariato; per altro verso,
enuclea alcuni degli strumenti applicativi nei quali concretamente si
articola tale paradigma di collaborazione tra pubblica Amministrazione e
soggetti privati nella realizzazione e gestione di opere e servizi di
pubblico interesse. In specie,
l’articolo 180 precisa che i ricavi
dell’operatore economico possano derivare tanto da canoni corrisposti
dall’ente concedente, quanto da altre forme di contropartite
economiche, ivi inclusi gli introiti prodotti dalla gestione di servizi ad
utenza esterna (comma 2). Il successivo comma 3
dispone peraltro che, per effetto della stipulazione di un accordo di
partenariato, gravano sull’affidatario non soltanto i rischi di
costruzione, ma anche quelli connessi alla disponibilità o alla domanda dei
servizi resi. L’assetto d’interessi definito dalle parti deve
inoltre preventivamente determinare dei criteri di adeguamento della
remunerazione all’ «effettiva fornitura del
servizio o utilizzabilità dell’opera», al «volume dei servizi
erogati in corrispondenza della domanda», nonché, in generale, al «rispetto
dei livelli di qualità contrattualizzati». Il perseguimento
dell’equilibrio economico finanziario dell’operazione può inoltre
giustificare, ai sensi del comma 6, l’erogazione
al soggetto privato di un contributo pubblico, purché la misura di
quest’ultimo non ecceda il quarantanove per cento
dell’investimento complessivo. In ragione dei guadagni
potenzialmente percepibili dal partner privato nello
svolgimento del progetto di collaborazione, l’articolo 181 rinviene
nelle norme in materia di evidenza pubblica il parametro di regolamentazione delle procedure di scelta del contraente
(comma 1). Oltre a prevedere che la base di gara sia costituita dalla
predisposizione di un progetto definitivo, di uno schema di contratto e di
piano economico finanziario (comma 2), la norma da ultimo citata richiede
inoltre, ai sensi del comma 3, una preliminare
indagine circa le condizioni di mercato nel quale si iscrive
l’operazione economica, anche in relazione alle utilità astrattamente
derivanti dallo svolgimento di normali procedure di appalto. La «permanenza
in capo all’operatore economico dei rischi trasferiti» costituisce
invece uno dei principali criteri ai quali le modalità
di monitoraggio dell’attività dell’operatore economico devono
ispirarsi (comma 4). 4. La natura giuridica
del partenariato pubblico-privato contrattuale nella giurisprudenza. Per quanto concerne più
specificamente il partenariato pubblico-privato contrattuale, questo Consiglio
di Stato (parere della Commissione speciale n. 855 del Con il successivo parere
della Commissione speciale n. 755 del –
l’espressione partenariato pubblico-privato indica un complesso
fenomeno giuridico, di matrice europea, caratterizzato da una sostanziale
equiordinazione tra soggetti pubblici e soggetti privati per la realizzazione
di un’attività volta al conseguimento di
interessi pubblici, in cui ai primi (soggetti pubblici) è attribuito il
compito di individuare/selezionare gli interessi pubblici da tutelare e
garantire, nonché lo strumento economico/giuridico/finanziario più adeguato
per poterli conseguire, oltre che la vigilanza e il controllo sul loro
effettivo raggiungimento, mentre ai secondi – i soggetti privati, che
mettono a disposizione dell’amministrazione pubblica, le proprie capacità
finanziarie e il proprio complessivo know how – è riconosciuto il
diritto di ritrarre utilità, mediante la disponibilità o lo sfruttamento
economico dell’opera, attraverso le ordinarie fasi della sua
realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione; – il partenariato
pubblico-privato costituisce un fenomeno economico–finanziario che
trova disciplina giuridica nel relativo contratto di partenariato,
qualificabile come contratto atipico, in cui le parti fissano nel modo
ritenuto più idoneo e adeguato l’assetto dei propri rispettivi
interessi in funzione del conseguimento dell’interesse pubblico
individuato esclusivamente dalla parte pubblica; il partenariato
pubblico-privato si delinea come un genus contrattuale
riferibile a più modelli specifici, tra cui “rientrano la finanza di
progetto, la concessione di costruzione e gestione, la concessione di
servizi, la locazione finanziaria di opere pubbliche, il contratto di
disponibilità e qualunque altra procedura di realizzazione in partenariato di
opere e servizi che presentano le caratteristiche di cui ai commi precedenti
(art. 180, comma 8)”. Tali considerazioni
devono essere ribadite in questa sede, rilevandosi
che l’espressione “partenariato pubblico-privato” non pare
integrare una categoria giuridica in senso proprio – neanche dopo il
nuovo Codice del 2016 – ma, secondo attenta dottrina, sarebbe nozione
meramente descrittiva di istituti giuridici caratterizzati da alcuni elementi
comuni. In sostanza si tratta di
un modulo procedimentale, disciplinato dal Codice dei Contratti pubblici,
volto alla realizzazione degli interessi pubblici,
che si avvale della collaborazione tra privati e amministrazioni e che si
articola in schemi contrattuali tipici e atipici. Lo scopo è quello di individuare finanziamenti alternativi a quelli
tradizionali attraverso un rapporto di lunga durata e una corretta
allocazione del rischio in capo ai privati, secondo le modalità individuate
nel contratto. Già nel parere n.
755/2017, sopra citato, questo Consiglio di Stato ha sottolineato
che il partenariato pubblico-privato è uno strumento di cooperazione per la
effettiva ed efficace realizzazione degli interessi pubblici, che non solo si
presenta come attuativo del principio di solidarietà orizzontale di cui
all’art. 118, comma 4, della Costituzione, ma che costituisce
concretamente anche un rimedio significativo per il superamento di crisi
finanziarie e dei vincoli posti alla spesa pubblica; esso risulta altresì
tendenzialmente idoneo a promuovere un significativo rinnovamento della
pubblica amministrazione attraverso l’acquisizione di specifiche
conoscenze tecniche e scientifiche, proprie delle realtà private, capaci di
fornire nuovi e innovativi strumenti per rendere l’azione
amministrativa sempre maggiormente coerente con i principi di imparzialità e
buon andamento predicati dall’art. 97 della Costituzione. Le osservazioni sino a
qui compiute dimostrano, a giudizio della Sezione, che tale modulo
organizzatorio – in particolar modo nell’attuale periodo di grave
crisi economica e finanziaria del Paese – se ben utilizzato può
costituire un volano per la ripresa economica, soprattutto se assistito da un
costante dialogo tra Stato, Regioni e enti locali,
poiché idoneo ad assicurare l’utilizzo di risorse private nel settore
pubblico con conseguentemente allentamento delle restrizioni di bilancio. 5. Le altre tipologie
di partenariato pubblico-privato. Finanza di progetto. Locazione finanziaria.
Contratto di disponibilità. Affidamento a contraente generale. Dall’articolo 180,
comma 8 del d.lgs. n. 50 del 2016 si ricava che le
forme di collaborazione fra la pubblica Amministrazione e i soggetti privati
nello svolgimento di attività d’interesse generale non si esauriscono
nell’affidamento di concessioni di lavori o di servizi ma rinvengono nella
prassi una molteplicità di manifestazioni applicative. Come detto, infatti,
il partenariato pubblico-privato, piuttosto che configurare un tipo
contrattuale autonomo, può essere qualificato come un modulo procedimentale
comprensivo di fattispecie distinte, ciascuna delle quali condivide la comune
preordinazione alla gestione imprenditoriale di un’operazione
economicamente complessa. Nell’ambito di tali
tecniche negoziali la finanza di progetto (cosiddetto project
financing), disciplinata dagli articoli 183-186 del d.lgs. n. 50 del
2016, costituisce una delle modalità di
realizzazione e gestione di un’opera di pubblico interesse fondata
sulla predisposizione del progetto preliminare e del piano economico da parte
di un promotore privato, il quale, per il tramite del coinvolgimento di
soggetti finanziatori, assume a proprio carico gli oneri derivanti dai costi
di esecuzione. Al pari del modello concessorio, i ricavi potenzialmente
percepibili dal promotore discendono dal conseguimento del diritto di
gestione dell’opera realizzata. Al bando di
gara è inoltre affidata la disciplina della costituzione di «società di
progetto» fra i soggetti privati che abbiano partecipato
all’operazione. Lo scopo di finanziamento
costitutivo della tecnica negoziale sottostante al project
financing può parimenti riscontrarsi nella locazione finanziaria
immobiliare (articolo 187 del codice dei contratti pubblici), consistente nel
godimento da parte della stazione appaltante di un’opera la cui realizzazione
è previamente affidata ad un imprenditore privato.
In tale ipotesi i costi di esecuzione dei lavori, le spese di gestione ed il prezzo di erogazione del credito sono remunerati
dalla corresponsione di un canone periodico a carico della pubblica Amministrazione,
la quale, nel valutare gli strumenti di gestione delle proprie carenze
finanziarie, è tenuta ad un puntuale esame delle opzioni di investimento
alternative. Passando al contratto di
disponibilità, va evidenziato che il rischio ed i
costi operativi sono sostenuti dal partner privato non
soltanto per la realizzazione di un’opera destinata all’esercizio
di un pubblico servizio ma anche per garantire la «costante fruibilità»
della medesima (articolo 3, lettera hhh). Peraltro, la permanenza
dell’opera nella proprietà dell’affidatario assicura, per un
verso, l’esecuzione di opere funzionali al soddisfacimento degli scopi
d’interesse pubblico cui l’Amministrazione è istituzionalmente
preposta; per altro verso, la trasposizione a carico del privato dei soli
rischi di costruzione e di disponibilità, con
esclusione di quelli gestori comunemente ascrivibili alle operazioni di
concessione. Le forme di remunerazione della «messa a disposizione»
sono infatti di volta in volta individuate (articolo
188) nel pagamento di canoni di disponibilità, di contributi in corso
d’opera ovvero, per il caso del riscatto dell’opera da parte del
committente, di un prezzo di trasferimento. Al titolo III della Parte
IV del codice dei contratti pubblici è infine
stabilita la disciplina dell’affidamento a contraente generale
(cosiddetto general contractor), delle cui capacità organizzative
e finanziarie l’Amministrazione si serve per realizzare opere conformi
al progetto definitivo posto a base di gara (articolo 194). La specialità
della fattispecie può rinvenirsi nell’estensione dei compiti affidati
al contraente generale, il quale, oltre all’esecuzione dei lavori,
assume gli oneri connessi alla predisposizione del progetto esecutivo, al
prefinanziamento totale o parziale dell’opera, nonché
all’esercizio della potestà di apprensione delle aree. A differenza del
contratto di concessione, siffatta modalità di
affidamento non implica il trasferimento in capo all’aggiudicatario del
rischio operativo, in ragione dell’obbligo di pagamento di un
corrispettivo gravante sull’Amministrazione a seguito
dell’ultimazione dei lavori. L’esercizio di prerogative
tipicamente pubblicistiche da parte del contraente generale consente dunque
di riconoscere nell’istituto una delle principali manifestazioni
applicative della collaborazione tra la pubblica Amministrazione e gli
operatori privati nello svolgimento di attività d’interesse generale. 6. Il partenariato
pubblico-privato e la concessione. Essenzialità dell’elemento del
rischio Per quanto
d’interesse in questa sede, occorre ora esaminare l’effettiva collocazione dell’istituto della concessione e il
suo rapporto con il partenariato pubblico-privato. La concessione –
pur essendo disciplinata nella parte III del Codice – è attratta
nel genus del partenariato pubblico-privato (come facilmente
ricavabile dall’articolo 180, comma 8, Codice)
e, in particolare, in quello di tipo contrattuale, in quanto caratterizzata
dal coinvolgimento del privato nella gestione dell’opera o del
servizio, con l’obiettivo del soddisfacimento di un interesse pubblico
predeterminato. In questa figura, come è noto, la ripartizione del rischio tra le parti
costituisce l’elemento discriminante tra la concessione e l’appalto
pubblico. Secondo
la giurisprudenza dalla Corte di giustizia, difatti “la differenza
tra un appalto di servizi e una concessione di servizi risiede nel
corrispettivo della fornitura di servizi …. «Un appalto pubblico di servizi» ai sensi delle
direttive 2004/18 e 2004/17 comporta un corrispettivo che è pagato
direttamente dall’amministrazione aggiudicatrice al prestatore di
servizi …. Si è in presenza di una concessione
di servizi allorquando le modalità di remunerazione pattuite consistono nel
diritto del prestatore di sfruttare la propria prestazione ed implicano che
quest’ultimo assuma il rischio legato alla gestione dei servizi in
questione. (CGUE In merito è stato poi
considerato – e va qui ribadito – che
“la caratteristica precipua delle concessioni, idonea a
differenziarle dagli appalti, è data proprio dall’assunzione di un
rischio, che va ben al di là, ed è qualitativamente differente, da quello
sopportato da un normale appaltatore. In mancanza, dunque, del trasferimento
del rischio “operativo”, come ricorda Sotto il profilo
qualitativo, la direttiva precisa che deve trattarsi di un rischio “sul
lato della domanda o sul lato dell’offerta, o entrambi” (art. 5,
n. 1), comma 2). Ed il
considerando n. 20 precisa ulteriormente che tale rischio “dovrebbe
derivare da fattori al di fuori del controllo delle parti”. Il che se è
conciliabile con il rischio della domanda, che dipende da comportamenti di
soggetti terzi (fruitori del servizio), lo è di meno
con il rischio dell’offerta, dato che la medesima è resa dallo stesso
concessionario. Sicché deve ritenersi che in tal caso le componenti
del rischio riguardino essenzialmente elementi che sono al di fuori del
controllo dell’operatore privato, come l’andamento dei costi
(anche finanziari) che dipendono puramente dalle oscillazioni del mercato, e
quindi, come tali, sono estranei al dominio delle parti. Di particolare
interesse, anche nell’ambito del rischio dell’offerta, è il c.d.
rischio di disponibilità, tipico delle concessioni associate alle opere c.d.
fredde (ed ai relativi servizi, avvinti dalla stessa
logica) – ovvero le opere che sono prive della capacità di generare
reddito attraverso la fruizione da parte dei terzi – e che, risultando
legato alla capacità da parte del concessionario di erogare le prestazioni
contrattuali pattuite, sia per volume che per standard di qualità, dovrebbe
legarsi alla performance dello stesso concessionario. L’applicazione
del modello concessorio alle c.d. opere fredde (il privato che le realizza e
gestisce fornisce direttamente servizi all’amministrazione traendo la
propria remunerazione da pagamenti effettuati dalla stessa: per es. nei casi
di carceri o ospedali) ha destato perplessità, dato che
l’ambito naturale dell’istituto è certamente costituito dalle
c.d. opere calde, ovvero da quelle dotate di intrinseca capacità di generare
reddito attraverso ricavi di utenza (modello autostrade, gas, parcheggi),
ovvero, al più, da quelle c.d. tiepide, categoria intermedia per la quale,
non essendo sufficienti i ricavi di utenza a ripianare interamente le risorse
impiegate, risulta necessario un contributo pubblico per la fattibilità
finanziaria (impianti sportivi e, per i servizi, trasporto pubblico locale).
Tuttavia, non vi sono elementi per affermare che, in base alla direttiva, il
modello della concessione non si applichi anche alle opere fredde (ed ai servizi dello stesso tipo), per le quali, a
differenza delle opere calde (dove viene prevalentemente in rilievo il
rischio della domanda, e dunque il rischio sul versante dei ricavi, come nel
caso dell’esempio — non infrequente – della sovrastima dei
flussi di traffico da parte di concessionari autostradali), viene in rilievo
prevalentemente il rischio dell’offerta e, quindi, anzitutto quello sul
versante dei costi (cfr., al riguardo, anche l’art.165 del codice). Dal punto di vista
quantitativo, e quindi dell’entità del rischio operativo, la direttiva 23 lascia margini ai legislatori nazionali e pone dei
limiti, essenzialmente in termini negativi, ammettendo che una parte del
rischio possa rimanere a carico dell’amministrazione aggiudicatrice o
dell’ente aggiudicatore e risultando esclusi espressamente solo i casi
in cui il rischio sia eliminato del tutto (considerando nn. 18 e 19). In definitiva la
“componente rischio” deve essere
effettivamente sussistente, ancorché proporzionalmente ridotta, come emerge
dal recepimento nazionale recato dall’art. 165, comma 2, secondo cui
“l’eventuale riconoscimento del prezzo, sommato al valore di eventuali
garanzie pubbliche o di ulteriori meccanismi di finanziamento a carico della
pubblica amministrazione, non può essere superiore al cinquanta per cento del
costo dell’investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri
finanziari” (Cons. Stato, Comm. spec. n. 855/2016). Giova anche rammentare
quanto ritenuto dal parere della Commissione speciale n. 775/2017, sopra
citato, secondo cui “L’art. 180, comma L’essenzialità
dell’elemento del rischio si rinviene anche sotto un profilo più
squisitamente tecnico-contabile. È noto, difatti, che secondo la decisione
dell’Ufficio statistico europeo (Eurostat) dell’
Sotto tale profilo va
anche segnalato quanto ha ritenuto Alla luce di tutto ciò, 7. Esame dei quesiti proposti 1. Occorre svolgere in
primo luogo alcune considerazioni preliminari circa l’inquadramento
giuridico dello schema di contratto in esame nel sistema normativo di
riferimento. Se è vero, da un lato, che rientra senz’altro nella
competenza di carattere generale delle pubbliche amministrazioni, nei limiti
dei propri fini istituzionali stabiliti per legge, il potere di elaborare e
pubblicare schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni, allo
scopo di orientare e di dare uniformità alla prassi applicativa degli uffici,
è altresì vero che, nella specifica materia dei contratti pubblici
preordinati alla realizzazione di opere pubbliche, in base al codice di
settore, esiste una disciplina normativa di rango primario che regola in modo
puntuale, tra i tanti profili, anche quello dell’adozione di linee
guida e contratti tipo, e che demanda tale compito all’ANAC (articolo
213, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 1.1. Ora, nel caso in
esame lo schema di contratto tipo è stato elaborato
presso il Ministero dell’economia e delle finanze (Ragioneria Generale
dello Stato – Ispettorato Generale per 1.2. Occorre dunque
domandarsi quale sia l’autorità proponente che provvederà poi alla
successiva adozione ed emanazione del contratto tipo in esame, ciò che si
lega biunivocamente alla natura giuridica e all’efficacia di tale atto. Sotto questo profilo
nella relazione illustrativa si afferma che lo schema di contratto
non ha carattere vincolante, ma rappresenta uno strumento di
indirizzo per le pubbliche amministrazioni ai fini di una corretta
configurazione dei contratti di partenariato pubblico privato, in termini sia
di allocazione dei rischi sia di contabilizzazione dell’operazione.
Sembra, dunque, che si propenda per la configurazione dell’atto alla
stregua di un mero contratto tipo ministeriale non vincolante, che verrebbe adottato dal Ministero dell’economia e
delle finanze come supporto alle amministrazioni pubbliche, aperto ad
adesioni puramente volontarie, senza alcuna efficacia propria degli atti di
così detta “soft law” demandati in subiecta
materia all’ANAC dal citato art. 213 del codice dei contratti
pubblici (in questa impostazione l’apporto dell’ANAC sarebbe
meramente istruttorio e tecnico). La competenza del MEF si
giustificherebbe in ragione della finalità principale dell’iniziativa,
che consiste nell’assicurare la corretta collocazione
delle operazioni sotto il profilo contabile e statistico, al fine di
consentirne la classificazione off balance e di
contabilizzare quindi il valore totale (parte pubblica e parte privata) come
non generativo di nuovo debito e di nuovo deficit, con effetti positivi per
la finanza pubblica. Coerentemente con tali
finalità, lo schema di contratto tipo potrà conseguentemente concentrarsi
soprattutto sugli ora detti profili di diretta
incidenza ai fini della classificazione contabile, in coerenza con gli
indirizzi e i dettati delle raccomandazioni e indicazioni fornite da Eurostat
al Governo italiano nell’ultimo quinquennio, e in particolare nel 2018
(SEC 2010 approvato con Regolamento (CE) Detto in modo più chiaro,
se l’intenzione delle Autorità richiedenti è quella di dar vita ad un contratto-tipo ex art. 213, comma 2, Codice
dei contratti pubblici – con le relative implicazioni sotto un profilo
giuridico – sarà necessario che lo schema di contratto, ora in esame,
venga adottato dall’ANAC nel rispetto delle regole applicabili a tale
Autorità e non può essere oggetto di solitaria approvazione da parte del
Ministero richiedente. Solo l’ANAC, infatti, in questo contesto ordinamentale ha attribuito dalla legge il
compito di assicurare la “omogeneità dei procedimenti
amministrativi” e di favorire “lo sviluppo delle migliori
pratiche” (art. 213, comma 2, Codice); se tali compiti fossero
demandati alle singole amministrazione, infatti, verrebbe in radice frustrata
la possibilità di assicurare l’omogeneità dei procedimenti. Non è
inutile ricordare che il legislatore nel tempo ha introdotto numerose
disposizioni volte a garantire la concorrenza attraverso l’omogeneizzazione
delle condizioni di partecipazione alle procedure di evidenza pubblica (artt.
46, comma 1 bis 64, comma 4 bis, d. lgs. Se mancherà
l’adozione da parte dell’ANAC, l’atto in questione potrà
rimanere un utile ausilio per le pubbliche amministrazioni che, tuttavia, non
saranno obbligate a considerarlo quale contratto-tipo anche sotto il profilo
delle relative conseguenze giuridiche. In tal senso, valuterà
l’amministrazione se trasformare tale atto in una circolare con la
quale suggerire le più corrette modalità di azione
al precipuo scopo di disciplinare i predetti aspetti di carattere
contabile-finanziario. 2. Passando ora alle
Linee guida dell’ANAC n. 9 del 2018, va ricordato che sono state
adottate ai sensi dell’art. 181, comma 4, del
codice dei contratti pubblici, in base al quale “L’amministrazione
aggiudicatrice esercita il controllo sull’attività dell’operatore
economico attraverso la predisposizione ed applicazione di sistemi di
monitoraggio, secondo modalità definite da linee guida adottate
dall’ANAC, sentito il Ministero dell’economia e delle finanze,
entro novanta giorni dall’entrata in vigore del presente codice,
verificando in particolare la permanenza in capo all’operatore
economico dei rischi trasferiti”. Tale disposizione di
legge non è stata modificata dal decreto c.d. sblocca-cantieri ed è rimasta
dunque la possibilità per l’ANAC di adottare le predette linee guida
nella materia specifica. Occorre tuttavia
coordinare tale previsione con quanto stabilito dall’articolo 216,
comma 27 octies, Codice, come risultante dal d.l.
c.d. sblocca-cantieri. Giova evidenziare, al
riguardo, che tale disposizione di legge, per un verso, individua alcune linee guida che cesseranno di avere effetto dal momento in
cui entrerà in vigore il regolamento unico (precisamente quelle prima
previste dalle previgenti disposizioni di cui agli articoli 24, comma 2, 31,
comma 5, 36, comma 7, 89, comma 11, 111, commi 1 e 2, 146, comma 4, 147,
commi 1 e 2, e 150, comma 2); per altro verso individua, in modo trasversale,
le materia di competenza del regolamento – a) nomina, ruolo e
compiti del responsabile del procedimento; b) progettazione di lavori,
servizi e forniture, e verifica del progetto; c) sistema di qualificazione e
requisiti degli esecutori di lavori e dei contraenti generali; d) procedure
di affidamento e realizzazione dei contratti di lavori, servizi e forniture
di importo inferiore alle soglie comunitarie; e) direzione dei lavori e
dell’esecuzione; f) esecuzione dei contratti di lavori, servizi e
forniture, contabilità, sospensioni e penali; g) collaudo e verifica di
conformità; h) affidamento dei servizi attinenti all’architettura e
all’ingegneria e relativi requisiti degli operatori economici; i)
lavori riguardanti i beni culturali – stabilendo, allo scopo
di evitare possibili antinomie, che a “decorrere dalla data di
entrata in vigore del regolamento cessano di avere efficacia le linee guida
di cui all’articolo 213, comma 2, vertenti sulle materie indicate al
precedente periodo nonché quelle che comunque siano in contrasto con le
disposizioni recate dal regolamento”. Fatta tale premessa, In via ancor più
generale, in ragione del chiaro disposto dell’art. 216, comma 27 octies, Codice, reputa 3. Tale ultima
considerazione impone alla Sezione di fare un’ulteriore
raccomandazione alle Autorità richiedenti. Le osservazioni sin qui
compiute dimostrano che, in ragione della particolare importanza dello
strumento, prima di varare definitivamente il documento, potrebbe essere
opportuna una più intensa attività di coordinamento, oltre che tra Ministero
e ANAC, anche con L’attinenza delle
disposizioni ivi dettate alla materia oggetto del presente parere impone
dunque un migliore coordinamento. Il Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti, sotto altro aspetto, ha una competenza
“istituzionale” in materia che suggerisce un coordinamento tra i
diversi settori dell’amministrazione statale. Peraltro la necessità di
un coordinamento in materia, soprattutto per temi di importanza
generale, emerge anche dall’istituzione della Cabina di regia ad opera
dell’articolo 212 Codice dei contratti pubblici che, al comma 1, lett.
b), assegna a tale organo il compito di « curare, se del caso con
apposito piano di azione, la fase di attuazione del … codice
coordinando l’adozione, da parte dei soggetti competenti, di decreti e
linee guida, nonché della loro raccolta in testi unici integrati, organici e
omogenei, al fine di assicurarne la tempestività e la coerenza reciproca». Per tali ragioni, 4. Sempre da un punto di
vista generale, Tale scelta rischia di
essere riduttiva perché, soprattutto in un contesto
economico qual è quello attuale, l’utilizzo degli altri strumenti di
partenariato pubblico-privato – analiticamente descritti sub A.5
– potrebbe ancor di più consentire la realizzazione di opere senza
particolari impegni finanziari da parte dello Stato. Sotto tale profilo,
valuti pertanto l’Amministrazione se estendere lo schema sottoposto a
parere agli altri strumenti. 5. Ferme restando le
considerazioni di carattere preliminare e pregiudiziale già esposte, il
Consiglio, nell’ottica della leale
collaborazione, rileva quanto segue. La prima questione posta
dal Ministero riguarda l’esecuzione dei lavori e la gestione dei
servizi da parte dei soggetti terzi e si articola in due quesiti: quando i
soggetti terzi siano da qualificare come appaltatori rispetto al
concessionario e quando, invece, debbano considerarsi subappaltatori e se il
concessionario sia obbligato ad affidare agli appaltatori eventuali lavori
oggetto del contratto attraverso procedure selettive concorsuali
o se invece possa sceglierli con procedure semplificate, fermo il rispetto
degli obblighi generali di trasparenza. 5.1. Il dubbio deriva dal
non perfetto coordinamento delle pertinenti disposizioni del codice dei
contratti pubblici: da un lato, l’articolo 1,
comma 2, lettera c), secondo il quale le disposizioni del codice
si applicano ai lavori pubblici affidati dai concessionari che non sono
amministrazioni aggiudicatrici, previsione che, in uno all’articolo
164, comma 5 (che stabilisce che i concessionari sono tenuti, per gli appalti
di lavori affidati a terzi, all’osservanza della Parte III e delle
disposizioni di cui alle Parti I e II in materia di subappalto,
progettazione, collaudo e piani di sicurezza, non espressamente derogate
dalla Parte III), deporrebbe nel senso della necessità di selezionare i terzi
appaltatori mediante procedura di gara; dall’altro lato
l’articolo 174, comma 2, che prevede che gli operatori economici
indicano in sede di offerta le parti del contratto di concessione che
intendono subappaltare a terzi, aprendo, dunque, alla possibilità che il
concessionario, ove qualificato per i lavori e per i servizi da realizzare e
da erogare, possa scegliere liberamente sul mercato le imprese terze,
subappaltatrici, per la realizzazione dell’opera e per la gestione del
servizio. In quest’ottica il soggetto terzo chiamato a realizzare
l’opera dovrebbe essere qualificato come appaltatore nei casi in cui il
concessionario non sia qualificato; dovrebbe, invece, essere considerato un
subappaltatore quando il concessionario già possegga i requisiti di qualificazione. 5.1.1. Un disallineamento
tra le norme del codice vi sarebbe, inoltre, anche nel raffronto tra
l’articolo 1, comma 2, lettera c),
del codice dei contratti pubblici – che prevede
l’applicazione tout court delle disposizioni del
codice medesimo per l’affidamento di lavori da parte dei concessionari
che non sono amministrazioni aggiudicatrici – e il successivo articolo
164, comma 5, che limita le disposizioni applicabili per gli appalti di
lavori affidati a terzi a quelle della Parte III e a quelle inerenti il
subappalto, la progettazione, il collaudo e i piani di sicurezza delle Parti
I e II, prevedendo, nella sostanza, una procedura semplificata di selezione
dell’appaltatore. 5.1.2. In proposito il
Ministero ha chiesto a questo Consiglio di Stato “di chiarire se il
Concessionario che si è aggiudicato la gara per
l’affidamento in concessione della progettazione, costruzione e
gestione di una determinata opera sia obbligato ad affidare agli appaltatori
eventuali lavori oggetto del contratto attraverso procedure selettive
concorsuali o se invece possa scegliere gli stessi con procedure semplificate
fermo il rispetto degli obblighi generali di trasparenza, restando salva la
libertà del Concessionario di affidare lavori o servizi in subappalto a terzi
senza il preventivo esperimento di una procedura di gara”. 5.1.3. Rispetto a questi
profili dubbi lo schema di contratto standard, negli articoli 15 e 23, prevede: nell’art. 15 (Esecuzione dei
lavori) che (comma 1) Le prestazioni eseguite direttamente dai soci
del Concessionario non costituiscono affidamenti a terzi, ai sensi degli
articoli 174, comma 2, e 184, comma 2, del Codice; che (lettera b)
del comma 3) i lavori possono essere subappaltati nei limiti
quantitativi indicati in sede di Offerta; che (comma 4) Alle
prestazioni eseguite in subappalto si applica l’articolo 174 del Codice;
nell’art. 23 (Fase di gestione) prevede (comma 3) che “In
caso di affidamento diretto da parte del Concessionario ai propri soci, ai
sensi degli articoli 174, comma 2, e 184, comma 2, del Codice, da regolare
mediante apposito atto contrattuale, valgono le seguenti condizioni: . . . c)
i Servizi possono essere subappaltati nei limiti quantitativi indicati in
sede di Offerta”. 5.1.4. L’art. 1, comma 2, lettera c), del codice dei
contratti pubblici prevede che “2. Le
disposizioni del presente codice si applicano, altresì,
all’aggiudicazione dei seguenti contratti: . . . c) lavori pubblici
affidati dai concessionari di lavori pubblici che non sono amministrazioni
aggiudicatrici”. L’art. 164 (Oggetto e ambito di
applicazione della disciplina dei contratti di concessione)
stabilisce, al comma 5, che “5. I
concessionari di lavori pubblici che non sono amministrazioni aggiudicatrici,
per gli appalti di lavori affidati a terzi sono tenuti all’osservanza
della presente Parte nonché [del]le
disposizioni di cui alle parti I e II in materia di subappalto,
progettazione, collaudo e piani di sicurezza, non derogate espressamente
dalla presente parte”. L’art. 174 (Subappalto), che
inaugura il Capo III (Esecuzione delle concessioni) del Titolo I della
Parte III del codice, prevede, nel comma 2, che
“Gli operatori economici indicano in sede di offerta le parti del
contratto di concessione che intendono subappaltare a terzi” e
specifica le condizioni alle quali non si considerano come terzi le imprese
che raggruppate o consorziate per ottenere la concessione, né le imprese ad
esse collegate (in termini corrispondenti dispone l’art. 184, comma 2,
sulle società di progetto). 5.1.5. I dubbi
interpretativi sollevati dal Ministero richiedente sono stati colti dalla
dottrina, secondo la quale l’art. 164 sarebbe riferito alle
“vecchie” concessioni, assegnate senza gara, mentre il subappalto
(art. 174) dovrebbe applicarsi alle concessioni affidate in base al nuovo
codice ad operatori economici
“operativi”. Per la dottrina, infatti,
il concessionario, assumendo il rischio operativo legato alla gestione delle
opere o dei servizi, non può essere obbligato ad affidare i lavori o i
servizi a terzi. Sotto altro aspetto, per garantire l’autonomia delle
scelte imprenditoriali, se il concessionario dovesse decidere di avvalersi
dell’opera di terzi, non dovrebbe essere
costretto a selezionarli mediante gara. 5.1.6. Reputa Con riferimento alle
concessioni già in essere, ed aggiudicate in
precedenza senza gara, occorre prevedere l’obbligo di indire regolare
procedura di evidenza pubblica per la scelta degli appaltatori. Solo in
questo modo, infatti, si garantirà la concorrenza. Tali regole, oltre ad
essere coerenti con l’articolo 1, comma 2,
lett. c), Codice, si spiegano alla luce del fatto che, ogni qual volta sia
mancata la gara a monte per la scelta del concessionario, è necessario
garantire la concorrenza a valle, prevedendo delle gare pubbliche, per la
scelta degli appaltatori. Sulla base poi del chiaro
disposto dell’articolo 164, comma 4, le
procedure di evidenza pubblica dovranno necessariamente essere rispettate in
relazione “agli appalti di lavori pubblici affidati dai
concessionari che sono amministrazioni aggiudicatrici”, ove con il
termine amministrazione aggiudicatrici si intendono “le
amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti
pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni,
unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti”
(art. 3, comma 1, lett. a). Ciò rende coerenti, come
detto, l’articolo 1, comma 2, lett. c), l’art.
164, comma 4, e l’art. 177, Codice. Proprio tale ultima norma, infatti,
con le sue disposizioni di dettaglio, è la conferma della necessità di
imporre regole concorrenziali, seppure a valle, in una certa misura, quando
sono mancate le gare a monte. Con riferimento ai
concessionari di lavori pubblici che non sono amministrazioni aggiudicatrici
– e che dunque sono stati scelti previo esperimento di gara pubblica
– per gli appalti di lavori affidati a terzi
sono tenuti all’osservanza delle disposizioni contenute agli artt.
164-178 (parte III del Codice) nonché delle disposizioni di cui alle parti I
e II del codice in materia di subappalto, progettazione, collaudo e piani di
sicurezza, purché non derogate dalla parte III. Da ciò si ricava che tali
concessionari, essendo stati scelti normalmente tramite gara e non rientrando
tra le amministrazioni aggiudicatrici, potranno ricorrere al sub-appalto, più
che all’appalto, nel rispetto di quanto stabilito dall’art. 174
Codice che, icasticamente, richiama anche l’art. 30
destinato ad individuare, tra l’altro, i principi generali cui si deve
uniformare la disciplina degli appalti e delle concessioni. 6. Altro quesito
specifico posto dal Ministero riguarda le modifiche al contratto,
disciplinate dagli articoli 19 e 32 dello schema di
contratto standard, rispetto ai quali ha chiesto a questo Consiglio di Stato
“di esprimere il proprio parere circa la compatibilità degli eventi
non riconducibili al concessionario di cui all’articolo 32 dello schema
di contratto, che consentono il riequilibrio del piano economico finanziario
con il medesimo concessionario, con le previsioni di cui all’articolo
175, comma 7, del Codice dei contratti pubblici”. 6.1. L’art. 175 (Modifica
dei contratti durante il periodo di efficacia) introduce, nel comma 7, una presunzione legale della natura sostanziale della
modifica della concessione “se almeno una delle seguenti condizioni
è soddisfatta: a) la modifica introduce condizioni che, ove originariamente
previste, avrebbero consentito l’ammissione di candidati diversi da
quelli inizialmente selezionati o l’accettazione di un’offerta
diversa da quella accettata, oppure avrebbero consentito una maggiore
partecipazione alla procedura di aggiudicazione; b) la modifica altera
l’equilibrio economico della concessione a favore del concessionario in
modo non previsto dalla concessione iniziale; c) la modifica estende
notevolmente l’ambito di applicazione della concessione; d) se un nuovo
concessionario sostituisce quello cui la stazione appaltante aveva inizialmente
aggiudicato la concessione in casi diversi da quelli previsti al comma 1,
lettera d)” – ossia in base a una clausola di revisione in
conformità della lettera a) oppure quando al concessionario
iniziale succeda, in via universale o particolare, a seguito di
ristrutturazioni societarie, comprese rilevazioni, fusioni, acquisizione o
insolvenza, un altro operatore economico. 6.2. L’art. 19 dello schema di contratto standard (Modifiche del
contratto) si limita a operare un rinvio all’art. 175 del codice
dei contratti pubblici, prevedendo, per quel che qui rileva, che “Il
Contratto può essere modificato attraverso la stipula di atti aggiuntivi, in
assenza di una nuova procedura di aggiudicazione, nei seguenti casi
consentiti dall’articolo 175, commi 1 e 4, del Codice: . . . e)
modifiche non sostanziali inidonee ad alterare considerevolmente gli elementi
essenziali del Contratto, ai sensi dell’articolo 175, comma 6.3. C. Considerazioni concernenti l’articolato
e singole clausole dello schema di contratto. 1. Nel capitolo III della
richiesta di parere, intitolato “Sul contenuto dello schema di
contratto standard”, l’Amministrazione richiama
l’attenzione di questo Consiglio “su alcune questioni
preliminari che appaiono dubbie” con riferimento a specifiche
clausole contenute nello schema di contratto standard. Ferme restando sempre le
considerazioni di carattere preliminare e pregiudiziale già esposte, il
Consiglio, nell’ottica della leale
collaborazione, rileva quanto segue. 2. Sotto un primo
profilo, viene segnalato che lo schema di contratto
recepisce le indicazioni di Eurostat (Guida al trattamento statistico dei PPP
– EPEC, sett. 2016), ma “presenta anche altre innovazioni . .
. ricavabili sempre dalle indicazioni di Eurostat e di EPEC, sulla cui
legittimità, avuto riguardo alla causa naturale delle operazioni di partenariato
pubblico privato e al regolamento negoziale previste nel Codice dei
contratti, si chiede l’autorevole parere di codesto Eccellentissimo
Consesso, al fine di dare certezza al comportamento delle Amministrazioni”. Orbene, circa il
recepimento, nello schema di contratto standard, delle indicazioni fornite da
Eurostat per l’identificazione e l’accurata valutazione dei
rischi connessi ai contratti di PPP, con riferimento tra l’altro alla revisione del piano economico finanziario, secondo le
linee guida EPEC – Eurostat (uso degli indicatori finanziari
dell’Equity Return, del minimo DSCR e dell’LLCR4, irrilevanza di
altri indicatori, quali il VAN), questo Consiglio non ha da formulare
osservazioni, stante anche la stretta tecnicità di queste valutazioni, e non
può che condividere, in linea di massima, la scelta di adesione ai suddetti
indicatori di fonte Eurostat. Si ricordi, infatti, che
per giurisprudenza consolidata, il Consiglio di Stato esprime parere sugli
aspetti giuridici e non anche sulle valutazioni tecniche compiute dai
competenti organi amministrativi (Cons. St., sez.
atti normativi, 3. Riguardo alle “altre
innovazioni”, comunque “ricavabili sempre dalle
indicazioni di Eurostat e di EPEC”, riferite dal Ministero, si osserva
quanto segue. 3.1. Un primo profilo
riguarda il ruolo – necessario o solo eventuale – del contributo
pubblico per le cosiddette “opere fredde” (tale
contributo, secondo Eurostat, non è una condizione necessaria per
raggiungere l’equilibrio economico finanziario e, se troppo alto, può
disincentivare gli operatori economici ad assumersi un’adeguata
partecipazione economico-finanziaria). La questione deve essere
risolta tenendo conto del quadro giuridico prima delineato e assicurando il
rispetto della disciplina eurounitaria e nazionale di riferimento. In questa sede deve
essere necessariamente aggiunto che le c.d. “opere calde” –
com’è noto – sono opere molto diverse
dalle “fredde” anche dal punto di vista della redditività.
Conseguentemente la disciplina del contributo pubblico, e delle relative
condizioni economiche, non può essere equiparata nelle due differenti
tipologie di opere (come si ricava chiaramente dall’articolo 165, comma
2, Codice). 3.2. Un secondo aspetto
riguarda il riparto degli oneri e degli obblighi di acquisizione dei titoli autorizzativi necessari alla realizzazione
dell’opera. In proposito nel contratto standard si prevede che
l’ottenimento delle autorizzazioni competa in parte al concedente (art.
9, comma 1) e in parte al concessionario (art. 9, comma 2), con
l’annessa responsabilità in caso di ritardo dovuto a terzi e circa la
perdurante validità delle autorizzazioni acquisite. Tale soluzione, pur non
influenzando il trattamento statistico, potrebbe avere un’incidenza
negativa sulla bancabilità del progetto. Riferisce in proposito
l’Amministrazione che Ora, l’articolo 9 dello schema di contratto standard prevede, nel comma 1,
che “Al Concedente competono, nei tempi e nei modi previsti dalla
normativa vigente, le attività finalizzate al rilascio e/o
all’ottenimento delle Autorizzazioni necessarie per la progettazione,
costruzione e Messa in Esercizio dell’Opera, come indicate
nell’Allegato [•] – Sezione A)”; nonché, al comma
2, che “Al Concessionario competono in via diretta ed esclusiva
tutte le attività necessarie ai fini dell’ottenimento, nei tempi e nei
modi previsti dalla normativa vigente, delle Autorizzazioni necessarie per la
progettazione, costruzione e Messa in Esercizio dell’Opera, come
indicate nell’Allegato [•] – Sezione B”.
Sennonché non risulta reperibile, nello schema di
contratto qui inviato, il suddetto allegato “[•] –
Sezione A” e “Sezione B” (poiché gli “Allegati”,
a partire dalla pag. 48 del documento, comprendono solo, per quel che qui
rileva, un “Allegato 1: documenti contrattuali” –
pag. 49 – che elenca una serie documenti, tra i quali, al punto [2], le
“autorizzazioni, permessi, pareri, altri atti amministrativi”,
ma senza specificare quali di questi atti dovrebbe essere acquisito dal
committente e quali dal concessionario, nonché un Allegato 2,
“Definizioni”, pag. 49 ss., che nulla aggiunge di utile ai
fini qui in discussione. Non è pertanto possibile
esprimere allo stato alcuna valutazione sul punto del riparto degli oneri e
degli obblighi concernenti l’acquisizione dei necessari atti
autorizzativi. In via generale, va detto
che il riparto tra concedente e concessionario di tali oneri deve essere
calibrato, per un verso, con riferimento all’oggetto della concessione
che si vuole porre in essere e, per altro verso, alla necessità di evitare
“fughe di responsabilità” sulla base di
asserite mancanze (in realtà non) imputabili alla controparte. Il punto del
corretto e funzionale assetto dei rispettivi impegni nell’assicurare
l’acquisizione tempestiva di tutti i titoli autorizzativi necessari per
la realizzazione del progetto assume, deve rammentarsi, un rilievo essenziale
per la buona riuscita complessiva dell’iniziativa, come peraltro sottolineato anche dal legislatore della legge di delega
n. 11 del 2016 che, nell’articolo 1, comma 1, punto ttt),
ha imposto di garantire “altresì l’acquisizione di tutte le
necessarie autorizzazioni, pareri e atti di assenso comunque denominati entro
la fase di aggiudicazione”; 3.3. Un terzo tema
segnalato dall’Amministrazione verte sull’art. 43
del contratto standard, ove si prevede che l’opera passi al concedente
al termine del contratto, senza il pagamento di un valore residuo
(possibilità ammessa dalla Guida EPEC-Eurostat – pag. 115). La giustificazione di
tale previsione, che il Ministero mostra di desumere dal predetto documento
Eurostat – secondo la quale i diritti e gli
obblighi del partner in relazione all’asset terminano alla
scadenza del contratto e la presenza di un pagamento al partner alla scadenza
del contratto a seguito del passaggio dell’asset al
concedente non influenza il trattamento statistico se c’è
un’evidenza che i costi d’investimento e quelli sostenuti durante
il ciclo di vita del progetto del partner saranno recuperati attraverso i
ricavi che riceverà per tutto il periodo del contratto PPP e se la fase di
gestione dura almeno 10 anni – non evidenziano, a giudizio della
Sezione, elementi di rilevanza in punto di legittimità. 3.4. Un altro argomento
che viene segnalato nella relazione concerne i
termini di pagamento. In proposito non si hanno
rilievi da formulare sulla scelta, che sembra ragionevole, di recepire, con riserva di verifica finale a seguito
dell’approvazione del testo definitivo dell’adottando regolamento
unico di cui all’articolo 216, come 27-octies, del codice dei
contratti pubblici, le indicazioni al riguardo desumibili dal Governo, che ha
condiviso con 3.5. Nulla si ha inoltre da osservare – fermo restando quanto
chiarito supra, sub B.2 – riguardo al proposito, in tesi
condivisibile e rimesso comunque all’autonoma determinazione
dell’Autorità indipendente, di superare, mediante un opportuno
aggiornamento, taluni elementi di disallineamento che emergerebbero tra lo
schema di contratto qui in esame e le Linee guida ANAC n. 9 del 2018,
adottate con la delibera n. 318 del 3.6. Con riferimento alla
contestuale e concorrente elaborazione, in corso presso il medesimo Ministero
dell’economia e delle finanze, di taluni schemi di contratti standard
di settore, non può che raccomandarsi la massima
attenzione al fine di garantire un perfetto coordinamento dei testi, onde
evitare indesiderabili divergenze e disallineamenti, che finirebbero per disorientare
i soggetti attuatori e quindi disincentivare, anziché facilitare, il ricorso
ai partenariati. Il tutto comunque sul
presupposto, già espressamente spiegato sub B.1.2.,
che l’adozione di contratti-tipo validi per tutte le amministrazioni è
competenza, ed onere, che spetta esclusivamente all’ANAC sulla base
dell’attuale formulazione dell’articolo 213, comma 2, Codice. P.Q.M. Nei suesposti termini è
il parere della Sezione. Dispone la trasmissione
del presente parere alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri (anche in sede di coordinamento) e al Ministero delle infrastrutture
e dei trasporti.
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