Consiglio di Stato, Ad. Plen., sentenza 2 aprile
2020 n. 10 accesso ordinario ed accesso civico generalizzato in
materia di appalti
7.2. L’ordine delle questioni
deve essere affrontato nel modo seguente:
a) se, in presenza di una istanza di
accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla
disciplina generale della l. n. 241 del 1990, o ai suoi elementi sostanziali,
la pubblica amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario
presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in
capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990,
sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le
condizioni dell’accesso civico generalizzato, previste dal d. lgs. n.
33 del 2013, e se di conseguenza il giudice, in sede di esame del ricorso
avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla
disciplina ordinaria, di cui alla l. n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti
sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto
del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva
stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato.
b) se sia configurabile, o meno, in
capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei
concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica
per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente
protetto, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, ad avere
accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della
eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare
la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente
interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo la regole dello
scorrimento della graduatoria;
c) se la disciplina
dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. lgs. n. 33 del 2013,
come modificato dal d. lgs. n. 97 del 2016, sia applicabile, in tutto o in
parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni
disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture, inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva
fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive
previste dallo stesso codice.
8. Così impostato l’ordo
quaestionum, secondo la loro necessaria consecuzione logica, occorre
anzitutto esaminare il terzo quesito, posto dall’ordinanza, divenuto
primo.
8.1. L’istanza di accesso documentale
ben può concorrere con quella di accesso civico generalizzato e la pretesa
ostensiva può essere contestualmente formulata dal privato con riferimento
tanto all’una che all’altra forma di accesso.
8.2. L’art. 5, comma 11, del
d. lgs. n. 33 del 2013 ammette chiaramente il concorso tra le diverse forme
di accesso, allorquando specifica che restano ferme, accanto
all’accesso civico c.d. semplice (comma 1) e quello c.d. generalizzato
(comma 2), anche «le diverse forme di accesso degli interessati previste dal
capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241».
8.3. La giurisprudenza di questo
Consiglio è consolidata e uniforme nell’ammettere il concorso degli
accessi, al di là della specifica questione qui controversa circa la loro
coesistenza in rapporto alla specifica materia dei contratti pubblici: «nulla
infatti, nell’ordinamento, preclude il cumulo anche contestuale di
differenti istanze di accesso» (v., sul punto, Cons. St., sez. V, 2 agosto
2019, n. 5503).
8.4. Il solo riferimento
dell’istanza ai soli presupposti dell’accesso documentale non
preclude alla pubblica amministrazione di esaminare l’istanza anche
sotto il profilo dell’accesso civico generalizzato, laddove
l’istanza contenga sostanzialmente tutti gli elementi utili a vagliarne
l’accoglimento sotto il profilo “civico”, salvo che il
privato abbia inteso espressamente far valere e limitare il proprio interesse
ostensivo solo all’uno o all’altro aspetto.
8.5. Se è vero che l’accesso
documentale e quello civico generalizzato differiscono per finalità, requisiti
e aspetti procedimentali, infatti, la pubblica amministrazione, nel rispetto
del contraddittorio con eventuali controinteressati, deve esaminare
l’istanza nel suo complesso, nel suo “anelito ostensivo”,
evitando inutili formalismi e appesantimenti procedurali tali da condurre ad
una defatigante duplicazione del suo esame.
8.6. Con riferimento al dato
procedimentale, infatti, in materia di accesso opera il principio di stretta
necessità, che si traduce nel principio del minor aggravio possibile nell’esercizio
del diritto, con il divieto di vincolare l’accesso a rigide regole
formali che ne ostacolino la soddisfazione.
8.7. La coesistenza dei due regimi e
la possibilità di proporre entrambe le istanze, anche uno actu, è certo uno
degli aspetti più critici dell’attuale disciplina perché, come ha bene
messo in rilievo l’ANAC nelle Linee guida di cui alla delibera n. 1309
del 28 dicembre 2016 (par. 2.3, p. 7) – di qui in avanti, per brevità,
Linee guida – l’accesso agli atti di cui alla l. n. 241 del 1990
continua certamente a sussistere, ma parallelamente all’accesso civico
(generalizzato e non), operando sulla base di norme e presupposti diversi, e
la proposizione contestuale di entrambi gli accessi, può comportare un
«evidente aggravio per l’amministrazione (del quale l’interprete
non può che limitarsi a prendere atto), dal momento che dovrà applicare e
valutare regole e limiti differenti» (Cons. St., sez. V, 2 agosto 2019, n.
5503).
9. Tenere ben distinte le due
fattispecie è essenziale per calibrare i diversi interessi in gioco allorché
si renda necessario un bilanciamento caso per caso tra tali interessi e
tuttavia, come si è detto, le due fattispecie di accesso ben possono
concorrere, senza reciproca esclusione, e completarsi, secondo quanto si chiarirà.
9.1. Il bilanciamento è, infatti,
ben diverso nel caso dell’accesso previsto dalla l. n. 241 del 1990,
dove la tutela può consentire un accesso più in profondità a dati pertinenti,
e nel caso dell’accesso generalizzato, dove le esigenze di controllo diffuso
del cittadino devono consentire un accesso meno in profondità (se del caso,
in relazione all’operatività dei limiti), ma più esteso, avendo
presente che l’accesso in questo caso comporta, di fatto, una larga
conoscibilità (e diffusione) di dati, documenti e informazioni.
9.2. L’ANAC ha osservato che i
dinieghi di accesso agli atti e documenti di cui alla l. n. 241 del 1990, se
motivati con esigenze di “riservatezza” pubblica o privata,
devono essere considerati attentamente anche ai fini dell’accesso generalizzato,
ove l’istanza relativa a quest’ultimo sia identica e presentata
nel medesimo contesto temporale a quella dell’accesso di cui alla l. n.
241 del 1990, indipendentemente dal soggetto che l’ha proposta.
9.3. Con ciò essa ha inteso «dire,
cioè, che laddove l’amministrazione, con riferimento agli stessi dati,
documenti e informazioni, abbia negato il diritto di accesso ex l. 241/1990,
motivando nel merito, cioè con la necessità di tutelare un interesse pubblico
o privato prevalente, e quindi nonostante l’esistenza di una posizione
soggettiva legittimante ai sensi della 241/1990, per ragioni di coerenza
sistematica e a garanzia di posizioni individuali specificamente riconosciute
dall’ordinamento, si deve ritenere che le stesse esigenze di tutela dell’interesse
pubblico o privato sussistano anche in presenza di una richiesta di accesso
generalizzato, anche presentata da altri soggetti».
9.4. Se questo è vero, non può
nemmeno escludersi tuttavia, per converso, che un’istanza di accesso
documentale, non accoglibile per l’assenza di un interesse attuale e
concreto, possa essere invece accolta sub specie di accesso civico
generalizzato, come è nel caso presente, fermi restando i limiti di cui ai
cennati commi 1 e 2 dell’art. 5-bis d. lgs. n. 33 del 2013, limiti che,
come ha ricordato anche l’ordinanza di rimessione, sono certamente più
ampi e oggetto di una valutazione a più alto tasso di discrezionalità (v., su
questo punto, anche Cons. St., sez. V, 20 marzo 2019, n. 1817).
9.5. Correttamente l’Azienda
appellata, come del resto rileva l’ordinanza di rimessione, ha
qualificato ed esaminato l’istanza di Diddi s.r.l. anche sotto il
profilo dell’aspetto civico generalizzato, per quanto sia poi giunta ad
escludere l’applicazione della relativa disciplina al caso di specie
sulla base di argomenti non condivisibili.
9.6. A fronte di una istanza, come
quella dell’odierna appellante, che non fa riferimento in modo
specifico e circostanziato alla disciplina dell’accesso procedimentale
o a quella dell’accesso civico generalizzato e non ha inteso ricondurre
o limitare l’interesse ostensivo all’una o all’altra
disciplina, ma si muove sull’incerto crinale tra l’uno e
l’altro, la pubblica amministrazione ha il dovere di rispondere, in modo
motivato, sulla sussistenza o meno dei presupposti per riconoscere i
presupposti dell’una e dell’altra forma di accesso, laddove essi
siano stati comunque, e sostanzialmente, rappresentati nell’istanza.
9.7. A tale conclusione non osta il
fatto che l’istanza di accesso civico generalizzato non debba
rappresentare l’esistenza di un interesse qualificato, a differenza di
quella relativa all’accesso documentale, e che non debba essere nemmeno
motivata, perché l’interesse e i motivi rappresentati, indistintamente
ed eventualmente, al fine di sostenere l’esistenza di un interesse uti
singulus, ai fini dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, ben possono
essere considerati dalla pubblica amministrazione per valutare
l’esistenza dei presupposti atti a riconoscere l’accesso generalizzato
uti civis, quantomeno per il limitato profilo, di cui oltre si tratterà, del
c.d. public interest test.
9.8. In questo senso si è espresso
anche il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione nella
Circolare n. 2 del 6 giugno 2017 sull’Attuazione delle norme
sull’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA) – di qui in avanti,
per brevità, Circolare FOIA n. 2/2017 – laddove, nel valorizzare il
criterio della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo, ha
chiarito al par. 2.2 che «dato che l’istituto dell’accesso
generalizzato assicura una più ampia tutela all’interesse conoscitivo,
qualora non sia specificato un diverso titolo giuridico della domanda (ad es.
procedimentale, ambientale, ecc.), la stessa dovrà essere trattata
dall’amministrazione come richiesta di accesso generalizzato».
10. Solo ove l’istante abbia
inteso, espressamente e inequivocabilmente, limitare l’interesse
ostensivo ad uno specifico profilo, quello documentale o quello civico, la
pubblica amministrazione dovrà limitarsi ad esaminare quello specifico
profilo, senza essere tenuta a pronunciarsi sui presupposti dell’altra
forma di accesso, non richiesta dall’interessato.
10.1. Ma non è questo il caso in
esame ove, a fronte di una istanza formulata in modo indistinto, duplice o,
se si preferisce, “ancipite” nella quale Diddi s.r.l. sembra
rappresentare ora un proprio interesse specifico, quale seconda classificata,
e ora un più generale interesse collaborativo con la pubblica amministrazione
nell’interesse pubblico, l’Azienda ha vagliato l’esistenza
dei presupposti per consentire sia l’una che l’altra forma di
accesso. Né si pongono problemi di garanzia del contraddittorio, in quanto
l’Azienda ha interpellato la controinteressata C.N.S., che ha
manifestato la sua opposizione all’istanza.
10.2. Il quesito posto
dall’ordinanza di rimessione, dunque, non attiene propriamente al caso
di specie, come del resto riconosce la stessa ordinanza, perché
l’istanza di Diddi s.r.l. si presenta indistinta, ancipite, e una
corretta applicazione del principio di tutela preferenziale
dell’interesse conoscitivo nella sua più ampia estensione, oltre che di
non aggravamento procedimentale, ha indotto l’Azienda ad esaminare
l’istanza sotto il duplice profilo e a dare una risposta “onnicomprensiva”
per quanto, lo si è detto, non satisfattiva sul piano sostanziale per Diddi
s.r.l.
10.3. La reiezione
dell’istanza sotto il duplice profilo dell’accesso documentale e
di quello civico generalizzato individua correttamente il thema decidendum
del presente giudizio, proposto ai sensi dell’art. 116 c.p.a., sicché
non si pone alcun problema di conversione o di pronuncia ultra petita da
parte del giudice nella presente controversia.
11. Il quesito posto
dall’ordinanza pone tuttavia una questione di interesse generale, al di
là della specifica vicenda, che questa Adunanza plenaria ritiene di
esaminare, anche ai sensi dell’art. 99, comma 5, c.p.a.
11.1. Al riguardo, deve ritenersi
che, in presenza di una istanza di accesso ai documenti espressamente
motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale della l. n. 241
del 1990, o ai suoi elementi sostanziali, la pubblica amministrazione, una
volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della
titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi
dell’art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990, non può
esaminare la richiesta di accesso civico generalizzato, a meno che non sia
accertato che l’interessato abbia inteso richiedere, al di là del mero
riferimento alla l. n. 241 del 1990, anche l’accesso civico
generalizzato e non abbia inteso limitare il proprio interesse ostensivo al
solo accesso documentale, uti singulus.
11.2. Diversamente, infatti, la
pubblica amministrazione si pronuncerebbe, con una sorta di diniego difensivo
“in prevenzione”, su una istanza, quella di accesso civico
generalizzato, mai proposta, nemmeno in forma, per così dire, implicita e/o
congiunta o, comunque, ancipite dall’interessato, che si è limitato a
richiedere l’accesso ai sensi della l. n. 241 del 1990.
11.3. Ne discende che al giudice
amministrativo, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una
istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria, di cui
alla l. n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti sostanziali, è precluso di
accertare la sussistenza del diritto del richiedente secondo i più ampi
parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso
civico generalizzato, stante l’impossibilità di convertire, in sede di
ricorso giurisdizionale, il titolo dell’accesso eventualmente
rappresentato all’amministrazione sotto l’uno o l’altro
profilo.
11.4. Deve trovare in questo senso
conferma l’orientamento, già espresso da questo Consiglio di Stato,
secondo cui è preclusa la possibilità di immutare, anche in corso di causa,
il titolo della formalizzata actio ad exhibendum, pena la violazione del
divieto di mutatio libelli e di introduzione di ius novorum (cfr. Cons. St., sez. IV, 28 marzo 2017, n.
1406; Cons. St., sez. V, 20 marzo 2019, n. 1817; Cons. St., sez. V, 2
agosto 2019, n. 5503).
11.5. In altri termini, electa una
via in sede procedimentale, alla parte è preclusa la conversione
dell’istanza da un modello all’altro, che non può essere né
imposta alla pubblica amministrazione né ammessa – ancorché su impulso
del privato – in sede di riesame o di ricorso giurisdizionale, ferma
restando però, come si è già rilevato, la possibilità di strutturare in termini
alternativi, cumulativi o condizionati la pretesa ostensiva in sede
procedimentale.
11.6. Nemmeno ad opera o a favore
del privato può realizzarsi, insomma, quell’inversione tra procedimento
e processo che si verifica quando nel processo vengono introdotte pretese o
ragioni mai prima esposte, come era doveroso, in sede procedimentale.
11.7. Se è vero che il rapporto tra
le diverse forme di accesso, generali e anche speciali, deve essere letto
secondo un criterio di integrazione e non secondo una logica di irriducibile
separazione, per la miglior soddisfazione dell’interesse conoscitivo, è
d’altro lato innegabile che questo interesse conoscitivo nella sua
integralità e multiformità deve essere stato fatto valere e rappresentato,
anzitutto, in sede procedimentale dal diretto interessato e valutato dalla
pubblica amministrazione nell’esercizio del suo potere, non potendo il
giudice pronunciarsi su un potere non ancora esercitato, stante il divieto
dell’art. 34, comma 2, c.p.a., per non essere stato nemmeno sollecitato
dall’istante.
11.8. È vero che il giudizio in
materia di accesso, pur seguendo lo schema impugnatorio, non ha
sostanzialmente natura impugnatoria, ma è rivolto all’accertamento
della sussistenza o meno del diritto dell’istante all’accesso medesimo
e, in tal senso, è dunque un “giudizio sul rapporto”, come del
resto si evince dall’art. 116, comma 4, del d. lgs. n. 104 del 2010,
secondo cui il giudice, sussistendone i presupposti, «ordina
l’esibizione dei documenti richiesti» (v., per la giurisprudenza
consolidata di questo Consiglio sul punto anche ante codicem, Cons. Stato,
sez. VI, 9 maggio 2002, n. 2542 e, più di recente, Cons. St., sez. V, 19
giugno 2018, n. 3956).
11.9. Ma il c.d. giudizio sul
rapporto, pur in sede di giurisdizione esclusiva, non può essere la ragione
né la sede per esaminare la prima volta avanti al giudice questo rapporto
perché è il procedimento la sede prima, elettiva, immancabile, nella quale la
composizione degli interessi, secondo la tecnica del bilanciamento, deve essere
compiuta da parte del soggetto pubblico competente, senza alcuna inversione
tra procedimento e processo.
12. Il secondo quesito posto a
questa Adunanza plenaria consiste nel chiarire se sia configurabile, o meno,
in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria
dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza
pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse diretto,
concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata,
ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990, ad
avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista
della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di
provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il
conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo la
regole dello scorrimento della graduatoria.
12.1. Diversamente da quanto ha
ritenuto il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana nella sentenza
qui impugnata, e nel condividere, invece, le osservazioni esposte
dall’ordinanza di rimessione, questa Adunanza plenaria ritiene che gli
operatori economici, che abbiano preso parte alla gara, sono legittimati ad
accedere agli atti della fase esecutiva, con le limitazioni di cui
all’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, purché abbiano un interesse
attuale, concreto e diretto a conoscere tali atti.
12.2. La giurisprudenza di questo
Consiglio di Stato è univoca nell’ammettere l’accesso
documentale, ricorrendone le condizioni previste dagli artt. 22 e ss.
dell’art. 241 del 1990, anche agli atti della fase esecutiva (v., ex
plurimis, Cons. St., sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1115) laddove funzionale,
ad esempio, a dimostrare, attraverso la prova dell’inadempimento delle
prestazioni contrattuali, l’originaria inadeguatezza dell’offerta
vincitrice della gara, contestata dall’istante nel giudizio promosso
contro gli atti di aggiudicazione del servizio.
12.3. L’accesso documentale
agli atti della fase esecutiva è ammesso espressamente dallo stesso art. 53,
comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016, laddove esso rimette alla disciplina
degli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990, «il diritto di accesso agli
atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici»,
ma anche e più in generale dalla l. n. 241 del 1990, richiamata
dall’art. 53 testé citato.
12.4. Questa, dopo la riforma della
l. n. 15 del 2015 che ha recepito l’orientamento consolidato di questa
stessa Adunanza plenaria (v., sul punto, la fondamentale pronuncia di questo
Cons. St., Ad. plen., 22 aprile 1999, n. 5, secondo cui
«l’amministrazione non può […] negare l’accesso agli atti
riguardanti la sua attività di diritto privato solo in ragione della loro
natura privatistica», ma in tal senso v. già Cons. St., sez. IV, 4 febbraio
1997, n. 42), ha espressamente riconosciuto l’accesso ad atti
«concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura
pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale» (art. 22,
comma 1, lett. e) della l. n. 241 del 1990).
12.5. Non rileva, pertanto, che la
fase esecutiva del rapporto negoziale sia tendenzialmente disciplinata da
disposizioni privatistiche, poiché anche e, si direbbe, soprattutto questa
fase rimane ispirata e finalizzata alla cura in concreto di un pubblico
interesse, lo stesso che è alla base dell’indizione della gara e/o
dell’affidamento della commessa, che anzi trova la sua compiuta
realizzazione proprio nella fase di realizzazione dell’opera o del
servizio; e lo stesso accesso documentale, attese le sue rilevanti finalità
di pubblico interesse, costituisce, come prevede l’art. 22, comma 2,
della l. n. 241 del 1990, siccome sostituito dall’art. 10 della l. n.
69 del 2009, «principio generale dell’attività amministrativa al fine
di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la
trasparenza»: dell’attività amministrativa, quindi, considerata nel suo
complesso.
12.6. Esiste, in altri termini, una
rilevanza pubblicistica (anche) della fase di esecuzione del contratto, dovuta
alla compresenza di fondamentali interessi pubblici, che comporta una
disciplina autonoma e parallela rispetto alle disposizioni del codice civile
– applicabili «per quanto non espressamente previsto dal presente
codice e negli atti attuativi»: art. 30, comma 8, del d. lgs. n. 50 del 2016)
– e questa disciplina si traduce sia nella previsione di disposizioni
speciali nel codice dei contratti pubblici (artt. 100-113-bis del d. lgs. n.
50 del 2016), sia in penetranti controlli da parte delle autorità preposte a
prevenire e a sanzionare l’inefficienza, la corruzione o
l’infiltrazione mafiosa manifestatasi nello svolgimento del rapporto
negoziale.
12.7. Sotto tale ultimo profilo,
basti menzionare, tra gli altri, le funzioni di vigilanza attribuite
all’ANAC dall’art. 213, comma 3, lett. b) e c), del d. lgs. n. 50
del 2016 in materia di esecuzione dei contratti pubblici, o i controlli
antimafia da parte del prefetto, con gli effetti interdittivi di cui
all’art. 88, comma 4-bis, del d. lgs. n. 159 del 2011.
12.8. Sotto il profilo degli
interessi pubblici sottesi alla fase dell’esecuzione del rapporto,
vanno richiamati il principio di trasparenza e quello di concorrenza.
12.9. La trasparenza, nella forma
della pubblicazione degli atti (c.d. discosclure proattiva), è espressamente
disciplinata dall’art. 29 del d. lgs. n. 50 del 2016; alla disciplina
dell’accesso agli atti è dedicato l’art. 53 dello stesso codice
dei contratti pubblici, che tuttavia rinvia, in generale, alla disciplina
della l. n. 241 del 1990, salvi gli specifici limiti all’accesso e alla
divulgazione previsti dal comma 2 al comma 6 dello stesso art. 53.
13. Ma a esigenze di trasparenza,
che sorregge il correlativo diritto alla conoscenza degli atti anche nella
fase di esecuzione del contratto, conducono anche il principio di concorrenza
e il tradizionale principio dell’evidenza pubblica che mira alla scelta
del miglior concorrente, principio che non può non ricomprendere la
realizzazione corretta dell’opera affidata in esecuzione all’esito
della gara.
13.1. È vero che il codice dei
contratti pubblici, pur nell’esigenza che l’esecuzione
dell’appalto garantisca la qualità delle prestazioni, menziona i
principî di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza solo in
riferimento alla fase pubblicistica dell’affidamento di appalti e di
concessioni, ma non vi è dubbio che la fase dell’esecuzione, se si
eccettuano le varianti in corso d’opera ammesse dalla legge e le
specifiche circostanze sopravvenute tali da incidere sullo svolgimento del
rapporto contrattuale, deve rispecchiare e rispettare l’esito della
gara condotto secondo le regole della trasparenza, della non discriminazione
e della concorrenza.
13.2. L’attuazione in concreto
dell’offerta risultata migliore, all’esito della gara, e
l’adempimento delle connesse prestazioni dell’appaltatore o del
concessionario devono dunque essere lo specchio fedele di quanto risultato
all’esito di un corretto confronto in sede di gara, perché altrimenti
sarebbe facile aggirare in sede di esecuzione proprio le regole del buon
andamento, della trasparenza e, non da ultimo, della concorrenza, formalmente
seguite nella fase pubblicistica anteriore e prodromica
all’aggiudicazione.
13.3. Il delineato quadro normativo
e di principî rende ben evidente l’esistenza di situazioni
giuridicamente tutelate in capo agli altri operatori economici, che abbiano
partecipato alla gara e, in certe ipotesi, che non abbiano partecipato alla
gara, interessati a conoscere illegittimità o inadempimenti manifestatisi
dalla fase di approvazione del contratto sino alla sua completa esecuzione,
non solo per far valere vizi originari dell’offerta nel giudizio
promosso contro l’aggiudicazione (Cons. St., sez. V, 25 febbraio 2009,
n. 1115), ma anche con riferimento alla sua esecuzione, per potere, una volta
risolto il rapporto con l’aggiudicatario, subentrare nel contratto od
ottenere la riedizione della gara con chance di aggiudicarsela.
13.4. La persistenza di un rilevante
interesse pubblico nella fase esecutiva del contratto, idoneo a sorreggere
situazioni sostanziali e strumentali di altri soggetti privati, in primis il
diritto a una corretta informazione sulle vicende contrattuali, è dimostrato,
sul piano positivo, da una serie di disposizioni che si vengono a richiamare.
13.5. Vanno anzitutto ricordate, a
monte del costituendo rapporto, le regole del codice dei contratti pubblici
che prevedono in generale i controlli di legittimità
sull’aggiudicatario previsti dalle disposizioni proprie delle stazioni
appaltanti, il cui esito positivo costituisce condizione sospensiva del
contratto insieme con l’approvazione del contratto stesso (artt. 32,
comma 12, e 33, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016).
13.6. Nel corso del rapporto, poi,
rilevano le molteplici, complesse, ipotesi di recesso facoltativo da parte
della stazione appaltante, che configurano, in realtà, altrettante ipotesi di
autotutela pubblicistica, frutto di valutazione discrezionale e riconducibili
al generale paradigma dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 (v.,
sul punto, Cons. St., comm. spec., 28 novembre 2016, n. 2777, par.
5.6.-5.6.1.).
13.7. Ci si riferisce in
particolare, tra le ipotesi che consentono il recesso facoltativo
–contemplate, rispettivamente per i contratti e le concessioni,
dall’art. 108, comma 1, e dall’art. 176, commi 1 e 2, del codice
– alle eventuali modifiche sostanziali del contratto, che avrebbero
richiesto una nuova procedura di appalto ai sensi dell’art. 106 (art.
108, comma 1, lett. a), del d. lgs. n. 50 del 2016); al manifestarsi di una
delle cause di esclusione dalla gara, previste dall’art. 80 del d. lgs.
n. 50 del 2016, al momento dell’aggiudicazione; alla violazione di
gravi obblighi derivanti dai trattati, come riconosciuta dalla Corte di
giustizia dell’Unione europea in un procedimento di infrazione ai sensi
dell’art. 258 TFUE.
13.8. Vi sono poi specifiche ipotesi
di risoluzione di natura privatistica ammesse dal codice dei contratti
pubblici, oltre a quelle previste in via generale dal codice civile, per
gravi inadempimenti da parte dell’appaltatore, tali da compromettere la
buona riuscita delle prestazioni, accertate dal direttore dei lavori o dal
responsabile dell’esecuzione del contratto, se nominato (art. 108,
comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016) o comunque, anche al di fuori delle
ipotesi di grave inadempimento, ipotesi di ritardi per negligenza
dell’appaltatore rispetto alle previsioni del contratto (art. 108,
comma 4, del d. lgs. n. 50 del 2016).
13.9. E deve qui ricordarsi,
peraltro, che i gravi e persistenti inadempimenti dell’operatore
economico nell’esecuzione di precedenti contratti di appalto o di
concessione, che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento o la
condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili,
costituiscono, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c-ter, del d. lgs.
n. 50 del 2016, causa di esclusione dalla gara e tali circostanze assumono
particolare rilievo ai fini della partecipazione alla gara.
13.10. Ancora, più radicalmente,
peraltro, la rilevanza della vicenda contrattuale anche nella fase di
esecuzione è confermata dalle ipotesi di recesso obbligatorio dal rapporto
contrattuale, previste dall’art. 110, comma 2, del d. lgs. n. 50 del
2016, che in realtà configurano forme di autotutela pubblicistica c.d.
doverosa (con la conseguente, pacifica, giurisdizione del giudice
amministrativo: Cons. St., sez. IV, 29 aprile 2014, n. 2212), per
l’intervenuta decadenza dell’attestazione di qualificazione per
aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci o per il sopraggiungere
di un provvedimento definitivo, che dispone l’applicazione di una delle
misure di prevenzione previste dal d. lgs. n. 159 del 2011, con effetto
interdittivo antimafia; o per l’intervenuta sentenza di condanna
passata in giudicato per uno dei reati di cui all’art. 80 (art. 108,
comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016); o, ancora, per il recesso di cui
all’art. 88, comma 4-ter, del d. lgs. n. 159 del 2011, in seguito a
comunicazione o informazione antimafia adottata dal Prefetto (art. 110, comma
1, del d. lgs. n. 50 del 2016).
13.11. In tutte queste ipotesi
l’art. 110, comma 1, del vigente d. lgs. n. 50 del 2016 prevede che la
stazione appaltante, se intende mantenere l’affidamento alle medesime
condizioni già proposte dall’originario aggiudicatario in sede di
offerta, proceda allo scorrimento della graduatoria, esercitando quella che
pur sempre, nonostante il contrario avviso di autorevole dottrina, è rimasta
anche nel nuovo codice dei contratti pubblici una facoltà discrezionale della
pubblica amministrazione, come è reso manifesto dalla lettera dell’art.
108, comma 8, del medesimo d. lgs. n. 50 del 2016, laddove menziona «la
facoltà prevista dall’art. 110, comma 1».
14. La circostanza che tuttavia la
stazione appaltante, al ricorrere delle ipotesi di risoluzione di cui all’art.
108, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016, abbia la mera facoltà di procedere
allo scorrimento della graduatoria, con il subentro del secondo classificato
o dei successivi secondo l’ordine della stessa, o di indire una nuova
gara per il soddisfacimento delle proprie esigenze, laddove permangano
immutate – e salva, ovviamente, l’eccezionale facoltà di revocare
l’intera procedura gara stessa, se queste esigenze siano addirittura
venute meno, e di non bandirne più nessuna – non rende tuttavia
evanescente l’interesse dell’operatore economico, che abbia
partecipato alla gara, quantomeno meno a conoscere illegittimità, afferenti
alla pregressa fase pubblicistica ma emersi solo in sede di esecuzione
(ipotesi di c.d. recesso pubblicistico o, più precisamente, forme di
annullamento in autotutela, discrezionale o doverosa, secondo le ipotesi
sopra ricordate in via esemplificativa), o comunque inadempimenti
manifestatisi in fase di esecuzione (ipotesi di c.d. recesso privatistico).
14.1. L’esecuzione del pubblico
contratto o della pubblica concessione, se riguardata infatti anche dal
necessario versante del diritto amministrativo e delle norme del codice dei
contratti pubblici, che pure la regolano in ossequio ai dettami del diritto
dell’Unione, non è una “terra di nessuno”, un rapporto
rigorosamente privatistico tra la pubblica amministrazione e il contraente
escludente qualsivoglia altro rapporto o interesse, ma è invece soggetta,
oltre al controllo dei soggetti pubblici, anche alla verifica e alla connessa
conoscibilità da parte di eventuali soggetti controinteressati al subentro o,
se del caso, alla riedizione della gara.
14.2. L’interesse legittimo
degli operatori economici nel settore dei rapporti contrattuali e concessori
pubblici ha assunto ormai una configurazione di ordine anche solo
strumentale, certo inedita nella sua estensione, ma di sicuro impatto
sistematico.
14.3. Ciò si desume non solo dalla
giurisprudenza della Corte di giustizia UE – che, come è noto, propugna
una (sin troppo ampia) concezione dell’interesse strumentale in materia
di gara (sentenza della X sezione, 5 settembre 2019, in C-333/18) – ma
dalla stessa giurisprudenza di questa Adunanza plenaria (sentenza n. 6
dell’11 maggio 2018) la quale ha ben chiarito che il legislatore può
conferire rilievo a determinati interessi strumentali, che assurgono al rango
di situazioni giuridiche soggettive giuridicamente tutelate in via autonoma
rispetto al bene della vita finale, ancorché ad esso legati.
14.4. Anche la Corte costituzionale,
nella recente sentenza n. 271 del 13 dicembre 2019 – respingendo le
questioni di costituzionalità sollevate da diversi Tribunali amministrativi
regionali sul comma 2-bis dell’art. 120 c.p.a., ora abrogato in seguito
all’intervento del d.l. n. 32 del 2019, conv. in l. n. 55 del 2019
– ha chiarito che «se è vero che gli artt. 24, 103 e 113 Cost., in
linea con le acquisizioni della giurisprudenza del Consiglio di Stato, hanno
posto al centro della giurisdizione amministrativa l’interesse
sostanziale al bene della vita, deve anche riconoscersi che attribuire
rilevanza, in casi particolari, ad interessi strumentali può comportare un
ampliamento della tutela attraverso una sua anticipazione e non è distonico
rispetto ai ricordati precetti costituzionali, sempre che sussista un solido
collegamento con l’interesse finale e non si tratti di un espediente
per garantire la legalità in sé dell’azione amministrativa, anche al
costo di alterare l’equilibrio del rapporto tra le parti proprio dei
processi a carattere dispositivo».
14.5. La latitudine di questo
intesse legittimo “strumentale” non solo all’aggiudicazione
della commessa, quale bene della vita finale, ma anche, per l’eventuale
riedizione della gara, quale bene della vita intermedio, secondo quel “polimorfismo”
del bene della vita alla quale tende per graduali passaggi l’interesse
legittimo, schiude la strada ad una visione della materia, che fuoriesce
dall’angusto confine di una radicale visione soggettivistica del
rapporto tra il solo, singolo, concorrente e la pubblica amministrazione e
che vede la confluenza e la tutela di molteplici interessi anche in ordine
alla sorte e alla prosecuzione del contratto, fermo pur sempre il carattere
soggettivo della giurisdizione amministrativa in questa materia.
14.6. Applicando le medesime
coordinate anche alla fase privatistica del contratto pubblico, il
riconoscimento di un interesse strumentale giuridicamente tutelato quantomeno
ai soggetti che abbiano partecipato alla gara, e non ne siano stati
definitivamente esclusi per l’esistenza di preclusioni che
impedirebbero loro di partecipare a qualsiasi gara (si pensi ad una impresa
colpita da informazione antimafia), a conoscere gli atti della fase esecutiva
non configura quindi una “iperestensione” del loro interesse, con
conseguente allargamento “a valle” della giurisdizione
amministrativa, tutte le volte in cui, a fronte di vicende di natura
pubblicistica o privatistica già verificatesi incidenti sulla prosecuzione
del rapporto, sia configurabile, se non il necessario, obbligatorio, scorrimento
della graduatoria (c.d. bene finale), quantomeno la realistica possibilità di
riedizione della gara (c.d. bene intermedio) per conseguire
l’aggiudicazione della stessa (c.d. bene finale), in un “solido
collegamento” con il bene finale.
14.7. L’interesse
concorrenziale alla corretta esecuzione del contratto riacquista concretezza
ed attualità, in altri termini, in tutte le ipotesi in cui la fase
dell’esecuzione non rispecchi più quella dell’aggiudicazione,
conseguita all’esito di un trasparente, imparziale, corretto gioco
concorrenziale, o per il manifestarsi di vizi che già in origine rendevano
illegittima l’aggiudicazione o per la sopravvenienza di illegittimità
che precludano la prosecuzione del rapporto (c.d. risoluzione pubblicistica,
facoltativa o doverosa) o per inadempimenti che ne determinino
l’inefficacia sopravvenuta (c.d. risoluzione privatistica), sì che
emerga una distorsione di tutte quelle regole concorrenziali che avevano
condotto all’aggiudicazione della gara in favore del miglior concorrente
per la miglior soddisfazione dell’interesse pubblico.
15. Tanto chiarito sulla sussistenza
di un interesse, e sulla conseguente legittimazione che deriva dalla
titolarità dello stesso, alla conoscenza dello svolgimento del rapporto
contrattuale, occorre però, ai fini dell’accesso, che l’interesse
dell’istante, pur in astratto legittimato, possa considerarsi concreto,
attuale, diretto, e, in particolare, che preesista all’istanza di
accesso e non ne sia, invece, conseguenza; in altri termini, che l’esistenza
di detto interesse – per il verificarsi, ad esempio, di una delle
situazioni che legittimerebbe o addirittura imporrebbe la risoluzione del
rapporto con l’appaltatore, ai sensi dell’art. 108, commi 1 e 2,
del d. lgs. n. 50 del 2016, e potrebbero indurre l’amministrazione a
scorrere la graduatoria – sia anteriore all’istanza di accesso
documentale che, quindi, non deve essere impiegata e piegata a
“costruire” ad hoc, con una finalità esplorativa, le premesse
affinché sorga ex post.
15.1. Diversamente, infatti,
l’accesso documentale assolverebbe ad una finalità, espressamente
vietata dalla legge, perché preordinata ad un non consentito controllo
generalizzato sull’attività, pubblicistica o privatistica, delle
pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 4, della l. n. 241 del 1990).
15.2. Invero, la situazione
dell’operatore economico che abbia partecipato alla gara, collocandosi
in graduatoria, non gli conferisce infatti, nemmeno ai fini
dell’accesso, una sorta di superlegittimazione di stampo popolare a conoscere
gli atti della fase esecutiva, laddove egli non possa vantare un interesse
corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al
documento al cui accesso aspira (art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241
del 1990).
15.3. Se l’accesso documentale
soddisfa, come questo Consiglio ha rilevato nel parere n. 515 del 24 febbraio
2016 della Sezione consultiva per gli atti normativi (v., in particolare,
par. 11.2), un bisogno di conoscenza (c.d. need to know) strumentale alla
difesa di una situazione giuridica, che peraltro non necessariamente deve
sfociare in un esito contenzioso (essendo la situazione legittimante
all’accesso autonoma e distinta da quella legittimante
all’impugnativa giudiziale e dall’esito stesso di questa
impugnativa: v. Cons. St., sez. V, 27 giugno 2018, n. 3956, già citata),
questa situazione giuridica deve necessariamente precedere e, per di più,
motivare l’accesso stesso.
15.4. Né giova opporre che
l’accesso documentale è proprio finalizzato a fornire la prova di questo
riattualizzato interesse, come sembra postulare l’ordinanza di
rimessione nel suggerire un’assimilazione tra la posizione di Diddi
s.r.l. e quella del concorrente che aspiri a conoscere i documenti
dell’offerta dell’aggiudicataria, perché altro è il bisogno di
conoscere per tutelare una interesse collegato ad una situazione competitiva
già esistente o chiaramente delineatasi, laddove il principio di concorrenza
già opera in fase di gara e al fine eventuale di impugnare il provvedimento
di aggiudicazione, e altro, evidentemente, il desiderio di conoscere per
sapere se questa situazione possa crearsi per l’occasione, del tutto
eventuale, di un inadempimento contrattuale.
15.5. E proprio nella distanza che
intercorre tra bisogno di conoscenza e desiderio di conoscenza sta del resto
il tratto distintivo che, al di là di ulteriori aspetti, connota
l’accesso documentale rispetto a quello civico generalizzato, nel quale
la conoscenza si atteggia quale diritto fondamentale (c.d. right to know), in
sé, che è premessa autonoma e fondamentale per l’esercizio di
qualsivoglia altro diritto.
16. Alla luce delle premesse sin qui
svolte, nel caso di specie deve però negarsi che sussista un interesse anche
solo strumentale, nel senso sopra descritto, alla conoscenza di tali atti in
capo a Diddi s.r.l., che nemmeno ha adombrato nella propria istanza, come
pure ha rammentato l’ordinanza di rimessione, l’esistenza di un
qualsivoglia inadempimento, essendosi limitata ad allegare, nella stessa
istanza, che «eventuali inadempienze rispetto ai suddetti obblighi
comporterebbero con ogni probabilità la risoluzione del contratto per
inadempimento, ed il conseguente affidamento del servizio alla scrivente
società, nella sua qualità di mandante dell’ATI seconda in graduatoria».
16.1. Una volta chiarito che la
posizione sostanziale è la causa e il presupposto dell’accesso
documentale e non la sua conseguenza e che la sua esistenza non può quindi
essere costruita sulle risultanze, eventuali, dell’accesso documentale,
va rilevato, per contro, che, nel caso di specie, l’istanza di accesso
è tesa all’acquisizione di documenti che non impediscono od ostacolano
il soddisfacimento di una situazione sostanziale, già delineatasi
chiaramente, ed è volta a invocare circostanze, da verificare tramite
l’accesso, che in un modo del tutto eventuale, ipotetico, dubitativo
potrebbero condurre al subentro nel contratto, nemmeno delineando una seria
prospettiva di risoluzione del rapporto, sempre necessaria per radicare un
interesse concreto e attuale (Cons. St., sez. V, 11 giugno 2012, n. 3398).
16.2. Si rivela, così, nella
fattispecie in esame, un’istanza di accesso con finalità meramente
esplorativa, finalizzata ad acclarare se un inadempimento vi sia, che
presupporrebbe, in capo agli altri operatori economici, un inammissibile
ruolo di vigilanza sulla regolare esecuzione delle prestazioni contrattuali e
sull’adempimento delle proprie obbligazioni da parte
dell’aggiudicatario.
16.3. Si avrebbe così una sorta di
interesse oggettivo, seppure ai fini dell’accesso, che non può essere
accolta pur tenendo conto, come si è detto, della lettura che di questo
interesse offrono, in quel dialogo incessante che costituisce l’osmosi
tra il diritto interno e quello europeo, le Corti nazionali e quelle
sovranazionali.
16.4. La configurazione di un
interesse strumentale così amplificato e dilatato anche in fase esecutiva
conferirebbe alle imprese del settore, partecipanti alla gara, una
superlegittimazione che, come meglio si chiarirà, le direttive del 2014 in
materia di appalti non consentono loro, pur riconoscendo, invece, la facoltà
di segnalare eventuali irregolarità, anche nella fase esecutiva, ad
un’apposita autorità nazionale (nel caso di specie, come meglio si
chiarirà più avanti, l’ANAC).
16.5. Per contro, questa Adunanza
plenaria, proprio con riguardo all’accesso documentale, ha precisato
che essere titolare di una situazione giuridicamente tutelata non è una
condizione sufficiente perché l’interesse rivendicato possa
considerarsi «diretto, concreto e attuale», poiché è anche necessario che la
documentazione cui si chiede di accedere sia collegata a quella posizione
sostanziale, impedendone o ostacolandone il soddisfacimento (Cons. St., Ad.
plen., 24 aprile 2012, n. 7).
17. Escluso che, almeno nel caso di
specie, sia applicabile l’accesso documentale di cui alla l. n. 241 del
1990, occorre esaminare ora conseguentemente l’ultimo quesito, posto
dall’ordinanza di rimessione, e cioè se la disciplina
dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. lgs. n. 33 del 2013, come
modificato dal d. lgs. n. 97 del 2016, sia applicabile, in tutto o in parte,
in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni
disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture, inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva
fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive
previste dallo stesso d. lgs. n. 33 del 2013.
18.1. L’art. 5-bis, comma 3,
del d. lgs. n. 33 del 2013, introdotto dall’art. 6 del d. lgs. n. 97
del 2016, prevede testualmente che il diritto di accesso civico
generalizzato, di cui all’art. 5, comma 2, del medesimo d. lgs. n. 33
del 2013, «è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di
divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi
in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di
specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui
all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990».
18.2. L’art. 53, comma 1, del
d. lgs. n. 50 del 2016 prevede, a sua volta, che «il diritto di accesso agli
atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici,
ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e
seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241».
18.3. Come ben ha rammentato
l’ordinanza di rimessione, che ha offerto un esaustivo quadro del
dibattito giurisprudenziale, sulla possibilità di ammettere l’accesso
civico generalizzato la giurisprudenza stessa di questo Consiglio di Stato, non
meno di quella di primo grado, si è attestata su due posizioni, contrastanti,
che fanno capo, rispettivamente, alla sentenza della sez. III, 5 giugno 2019,
n. 3780 e alle sentenze gemelle della sez. V, 2 agosto 2019, n. 5502 e n.
5503.
19. Giova ripercorre in sintesi le
posizioni e gli argomenti del contrasto.
20. Secondo l’orientamento
espresso dalla sentenza n. 3780 del 5 giugno 2019 (condiviso, anche nella
giurisprudenza di primo grado, da numerose pronunce), il richiamo
dell’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui rinvia agli
artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990, non può condurre alla generale
esclusione dell’accesso civico generalizzato in relazione ai contratti
pubblici perché il richiamo a specifiche condizioni, modalità e limiti si
riferisce a determinati casi in cui, per una materia altrimenti ricompresa
per intero nella possibilità di accesso, norme speciali o l’art. 24,
comma 1, della l. n. 241 del 1990 possono prevedere specifiche restrizioni.
20.1. Ciò non implicherebbe, però,
che intere materie siano sottratte all’accesso civico generalizzato, se
è vero che l’ambito delle materie sottratte deve essere definito senza
possibilità di estensione o analogia interpretativa, dovendosi distinguere,
nell’ambito delle eccezioni assolute previste dall’art. 5-bis,
comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016, tra materie sottratte interamente e
singoli casi sottratte nell’ambito di materie altrimenti aperte
all’accesso generalizzato. Mentre il riferimento alla disciplina degli
artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990 costituirebbe il mero frutto di un
mancato coordinamento del legislatore tra le due normative.
20.2. La III sezione di questo
Consiglio di Stato ha perciò rifiutato una interpretazione, definita
“statica” e non costituzionalmente orientata, che condurrebbe a
precludere l’accesso civico generalizzato ogniqualvolta una norma di
legge richiami la disciplina dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990; e
sostiene che, al contrario, occorre privilegiare una interpretazione conforme
ai canoni dell’art. 97 Cost. e valorizzare l’impatto
“orizzontale” dell’accesso civico generalizzato, non
limitabile da norme preesistenti e non coordinate con il nuovo istituto, ma
soltanto dalle prescrizioni speciali, da interpretare restrittivamente, rinvenibili
all’interno della disciplina di riferimento.
20.3. Sul piano ordinamentale,
richiamando le osservazioni svolte nel parere n. 515 del 24 febbraio 2016 di
questo Consiglio, la III sezione ha sottolineato il fondamentale valore della
trasparenza, perseguito dal riconoscimento dell’accesso civico
generalizzato anche in questa materia, come strumento fondamentale di
prevenzione e contrasto alla corruzione, anche secondo la chiara posizione
assunta dalla Commissione europea, la quale ha sottolineato la necessità che
l’ordinamento italiano promuova la trasparenza dei processi decisionali
in ogni ambito e, particolarmente, nel settore delle pubbliche gare, prima e
dopo l’aggiudicazione.
21. Un diverso orientamento, come si
è accennato, ha seguito invece la V sezione di questo Consiglio di Stato,
insieme con numerose altre pronunce dei giudici di primo grado.
21.1. Anzitutto, sul piano della
interpretazione letterale, questo secondo orientamento ritiene che
l’eccezione assoluta, contemplata nell’art. 5-bis, comma 3, del
d. lgs. n. 33 del 2016, ben possa essere riferita a tutte le ipotesi in cui
vi sia una disciplina vigente che regoli specificamente il diritto di
accesso, in riferimento a determinati ambiti o materie o situazioni, e che
l’eccezione non riguardi quindi soltanto le ipotesi in cui la
disciplina vigente abbia quale suo unico contenuto un divieto assoluto o
relativo di pubblicazione o di divulgazione «se non altro perché tale ipotesi
è separatamente contemplata nella medesima disposizione» (Cons. St., sez. V,
2 agosto 2019, n. 5503).
21.2. Si tratterebbe, insomma, di
effettuare un coordinamento volta per volta, verificando se la disciplina
settoriale, da prendere prioritariamente in considerazione in ossequio al
principio di specialità, consenta la reciproca integrazione ovvero assuma
portata derogatoria.
21.3. Nella materia dei contratti
pubblici, tuttavia, la prevalenza della disciplina speciale sarebbe data
dalla sua autosufficienza, anche nel soddisfare le esigenze di trasparenza
nel necessario bilanciamento con altri contrapposti interessi, di ordine
pubblico e privato, dacché «questa disciplina attua specifiche direttive
europee di settore che, tra l’altro, si preoccupano già di assicurare
la trasparenza e la pubblicità negli affidamenti pubblici, nel rispetto di
altri principî di rilevanza eurounitaria, in primo luogo il principio di
concorrenza, oltre che di economicità, efficacia ed imparzialità», sicché, in
tale contesto, la qualificazione del soggetto richiedente l’accesso, al
fine di vagliare la meritevolezza della pretesa di accesso individuale,
sarebbe ampiamente giustificata.
21.4. Per di più, avuto riguardo
allo specifico contesto ordinamentale, il perseguimento delle finalità di
trasparenza, proprie dell’accesso civico generalizzato, sarebbe
garantito, da un lato, dal ruolo di vigilanza e controllo sui contratti
pubblici svolto dall’ANAC e, dall’altro, dall’accesso
civico c.d. semplice, previsto dagli artt. 3 e 5, comma 1, del d. lgs. n. 33
del 2013, dato che molto ampia sarebbe la portata dell’obbligo previsto
dalla normativa vigente, in capo alle pubbliche amministrazioni, di
pubblicare documenti, informazioni o dati riguardanti proprio i contratti
pubblici.
21.5. La soluzione seguita dalla V
sezione, quanto ai valori e agli interessi in conflitto, conduce alla
conseguenza di escludere qualsivoglia rilevanza diretta al limite relativo,
di cui all’art. 5-bis, comma 2, lett. c), del d. lgs. n. 33 del 2013
(«gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi
compresa la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti
commerciali» e sottolinea al riguardo che, diversamente ritenendo:
a) l’amministrazione che
detiene i documenti per i quali è chiesto l’accesso dovrebbe tenere
conto, caso per caso, delle ragioni di opposizione degli operatori economici
coinvolti, con prevedibile soccombenza, nella maggioranza dei casi, dello
stesso principio di trasparenza, che si intende in astratto tutelare, poiché
maggiori sono i limiti che si oppongono all’accesso civico generalizzato;
b) notevole sarebbe
l’incremento dei costi di gestione del procedimento di accesso da parte
delle singole pubbliche amministrazioni coinvolte, del quale si è fatto
carico l’interprete, ma che, in una prospettiva di diffusa applicazione
dell’accesso civico generalizzato a tutti gli atti delle procedure di
affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, necessiterebbe di una
apposita disposizione di legge;
c) l’ammissione
dell’accesso generalizzato finirebbe per privare di senso il richiamo dell’art.
53, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016 all’art. 22 della l. n. 241 del
1990 e, comunque, farebbe sì che esso si presti alla soddisfazione di
interessi economici e commerciali del singolo operatore, nell’intento
di superare i limiti interni dei rimedi specificamente posti
dall’ordinamento a tutela di tali interessi ove compromessi dalla
conduzione delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti
pubblici.
21.6. L’orientamento appena
esaminato perviene così alla conclusione che la legge propenda per
l’esclusione assoluta della disciplina dell’accesso civico
generalizzato in riferimento agli atti delle procedure di affidamento e di
esecuzione dei contratti pubblici.
21.7. Tale esclusione conseguirebbe
«non ad incompatibilità morfologica o funzionale, ma al delineato rapporto
positivo tra norme, che non è compito dell’interprete variamente
atteggiare, richiedendosi allo scopo, per l’incidenza in uno specifico
ambito di normazione speciale, un intervento esplicito del legislatore».
22. Questa Adunanza plenaria ritiene
che l’accesso civico generalizzato debba trovare applicazione, per le
ragioni che si esporranno, anche alla materia dei contratti pubblici.
22.1. Come è stato esattamente
osservato, l’accesso civico generalizzato introdotto nel corpus
normativo del d. lgs. n. 33 del 2013 dal d. lgs. n. 97 del 2016, in
attuazione della delega contenuta nell’art. 7 della l. n. 124 del 2015,
come diritto di “chiunque”, non sottoposto ad alcun limite quanto
alla legittimazione soggettiva del richiedente e senza alcun onere di
motivazione circa l’interesse alla conoscenza, viene riconosciuto e
tutelato «allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento
delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e
di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico» (art. 5, comma 2, del
d. lgs. n. 33 del 2013).
22.2. L’esplicita precisazione
del legislatore evidenzia proprio la volontà di superare quello che era e
resta il limite connaturato all’accesso documentale che, come si è
detto, non può essere preordinato ad un controllo generalizzato
sull’attività delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 3, della
l. n. 241 del 1990).
22.3. Nell’accesso documentale
ordinario, “classico”, si è dunque al cospetto di un accesso strumentale
alla protezione di un interesse individuale, nel quale è l’interesse
pubblico alla trasparenza ad essere, come taluno ha osservato,
“occasionalmente protetto” per il c.d. need to know, per il
bisogno di conoscere, in capo al richiedente, strumentale ad una situazione
giuridica pregressa. Per converso, nell’accesso civico generalizzato si
ha un accesso dichiaratamente finalizzato a garantire il controllo
democratico sull’attività amministrativa, nel quale il c.d. right to
know, l’interesse individuale alla conoscenza, è protetto in sé, se e
in quanto non vi siano contrarie ragioni di interesse pubblico o privato,
ragioni espresse dalle cc.dd. eccezioni relative di cui all’art. 5-bis,
commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013.
22.4. Nel sopra citato parere n. 515
del 24 febbraio 2016 questo Consiglio di Stato, fornendo indicazioni sulle
modifiche normative da introdurre nel d. lgs. n. 33 del 2013, ha evidenziato
nel par. 11.2 che «il passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di
conoscere (from need to right to know, nella definizione inglese F.O.I.A.)
rappresenta per l’ordinamento nazionale una sorta di rivoluzione
copernicana, potendosi davvero evocare la nota immagine […] della
Pubblica Amministrazione trasparente come una “casa di vetro”».
22.5. Anche nel nostro ordinamento
l’evoluzione della visibilità del potere, con la conseguente
accessibilità generalizzata dei suoi atti sul modello del FOIA, è la storia
del lento cammino verso la democrazia e, con il progressivo superamento degli
arcana imperii di tacitiana memoria, garantisce la necessaria democraticità
del processo continuo di informazione e formazione dell’opinione
pubblica (Corte cost., 7 maggio 2002, n. 155).
22.6. Il principio di trasparenza,
che si esprime anche nella conoscibilità dei documenti amministrativi,
rappresenta il fondamento della democrazia amministrativa in uno Stato di
diritto, se è vero che la democrazia, secondo una celebre formula ricordata
dallo stesso parere n. 515 del 24 febbraio 2016, è il governo del potere
pubblico in pubblico, ma costituisce anche un caposaldo del principio di buon
funzionamento della pubblica amministrazione, quale “casa di
vetro” improntata ad imparzialità, intesa non quale mera conoscibilità,
garantita dalla pubblicità, ma anche come intelligibilità dei processi
decisionali e assenza di corruzione.
22.7. La stessa Corte
costituzionale, ancor di recente (sent. n. 20 del 21 febbraio 2019), ha
rimarcato che il diritto dei cittadini ad accedere ai dati in possesso della
pubblica amministrazione, sul modello del c.d. FOIA (Freedom of information
act), risponde a principî di pubblicità e trasparenza, riferiti non solo,
quale principio democratico (art. 1 Cost.), a tutti gli aspetti rilevanti
dalla vita pubblica e istituzionale, ma anche, ai sensi dell’art. 97
Cost., al buon funzionamento della pubblica amministrazione (v. anche sentt.
n. 69 e n. 177 del 2018 nonché sent. n. 212 del 2017).
22.8. La stessa impostazione si
rinviene ormai anche nel consolidato orientamento di questo Consiglio di
Stato non solo in sede consultiva, come nel più volte citato parere n. 515
del 2016, ma anche in sede giurisdizionale, laddove numerose pronunce
rimarcano che il nuovo accesso civico risponde pienamente ai principi del
nostro ordinamento nazionale di trasparenza e imparzialità dell’azione
amministrativa e di partecipazione diffusa dei cittadini alla gestione della
“cosa pubblica”, ai sensi degli artt. 1 e 2 Cost., nonché,
ovviamente, dell’art. 97 Cost., secondo il principio di sussidiarietà
orizzontale di cui all’art. 118 Cost. (Cons. St., sez. III, 6 marzo
2019, n. 1546)).
23. Il FOIA si fonda sul
riconoscimento del c.d. “diritto di conoscere” (right to know)
alla stregua di un diritto fondamentale, al pari di molti altri ordinamenti
europei ed extraeuropei, come del resto si evince espressamente anche
dall’art. 1, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013, secondo cui le
disposizioni dello stesso decreto, tra le quali anzitutto quelle dettate per
l’accesso civico, costituiscono livello essenziale delle prestazioni
erogate dalle amministrazioni pubbliche ai fini di trasparenza, prevenzione,
contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, a norma
dell’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost..
23.1. Non solo, peraltro,
l’accesso civico generalizzato, nel quale la trasparenza si declina
come “accessibilità totale” (Corte cost., 21 febbraio 2019, n.
20), è un diritto fondamentale, in sé, ma contribuisce, nell’ottica del
legislatore (v., infatti, art. 1, comma 2, del d. lgs. n. 33 del 2013), al
miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che
l’ordinamento giuridico riconosce alla persona.
23.2. Bene si è osservato che il
diritto di accesso civico è precondizione, in questo senso, per
l’esercizio di ogni altro diritto fondamentale nel nostro ordinamento
perché solo conoscere consente di determinarsi, in una visione nuova del
rapporto tra potere e cittadino che, improntata ad un aperto e, perciò
stesso, dialettico confronto tra l’interesse pubblico e quello privato,
fuoriesce dalla logica binaria e conflittuale autorità/libertà.
23.3. Come questo Consiglio di Stato
ha già rilevato nel più volte citato parere n. 515 del 24 febbraio 2016, la
trasparenza si pone non solo come forma di prevenzione dei fenomeni corruttivi,
ma come strumento ordinario e primario di riavvicinamento del cittadino alla
pubblica amministrazione, «destinata sempre più ad assumere i contorni di una
“casa di vetro”, nell’ambito di una visione più ampia dei
diritti fondamentali sanciti dall’art. 2 della Costituzione, che non
può prescindere dalla partecipazione ai pubblici poteri».
23.4. La luce della trasparenza
feconda il seme della conoscenza tra i cittadini e concorre, da un lato, al
buon funzionamento della pubblica amministrazione ma, dall’altro, anche
al soddisfacimento dei diritto fondamentali della persona, se è vero che
organizzazione amministrativa e diritti fondamentali sono strettamente
interrelati, come questo Consiglio di Stato ha già affermato (v., ex
plurimis, Cons. St., Ad. plen., 12 aprile 2016, n. 7 nonché Cons. St., sez.
III, 2 settembre 2014, n. 4460), sulla scorta dell’insegnamento secondo
cui «non c’è organizzazione che, direttamente o almeno indirettamente,
non sia finalizzata a diritti, così come non c’è diritto a prestazione
che non condizioni l’organizzazione» (Corte cost., 27 novembre 1998, n.
383).
23.5. La natura fondamentale del
diritto di accesso civico generalizzato, oltre che essere evincibile dagli
artt. 1, 2, 97 e 117 Cost e riconosciuta dall’art. 42 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea per gli atti delle istituzioni
europee, deve però collocarsi anche in una prospettiva convenzionale europea,
laddove essa rinviene un sicuro fondamento nell’art. 10 CEDU, come
hanno rilevato le citate Linee guida dell’ANAC, nel par. 2.1, e le
Circolari FOIA n. 2/2017 (par. 2.1) e n. 1/2019 (par. 3).
23.6. L’art. 10 CEDU sancisce,
al comma 1, che ogni persona ha diritto alla libertà di espressione e che
tale diritto include «la libertà di ricevere […] informazioni […]
senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche»,
mentre il successivo comma 2 stabilisce che l’esercizio delle libertà
garantite «può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o
sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie,
in una società democratica» alla tutela di una serie di interessi, pubblici e
privati, pressoché corrispondenti alle eccezioni relative previste
dall’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013.
23.7. La riconducibilità
dell’accesso ai documenti pubblici alla tutela della libertà
d’espressione garantita dall’art. 10 CEDU, inteso non più come
una libertà negativa, ma anche come libertà positiva, ha trovato nella
sentenza della Corte EDU, Grande Camera, 8 novembre 2016, Magyar Helsinki
Bizottsàg v. Hungary, in ric. n. 18030/11, uno storico ancorché travagliato
riconoscimento, allorché la Corte di Strasburgo ha ritenuto che la
disponibilità del patrimonio informativo delle pubbliche amministrazioni sia
indispensabile per assicurare un esercizio effettivo del diritto individuale
di esprimersi e per alimentare il dibattito pubblico su materie di interesse
generale.
23.8. La disciplina delle eccezioni
assolute al diritto di accesso generalizzato è coperta, dunque, da una
riserva di legge, desumibile in modo chiaro dall’art. 10 CEDU, quale
norma interposta ai sensi dell’art. 117 Cost., e la loro
interpretazione non può che essere stretta, tassativizzante.
24. Ricostruita così la natura del
c.d. accesso civico generalizzato, quale “terza generazione” del
diritto all’accesso, dopo quello documentale di cui alla l. n. 241 del
1990 e quello civico c.d. semplice di cui all’originaria formulazione
del d. lgs. n. 33 del 2013, occorre interrogarsi sulle c.d. eccezioni assolute,
previste dal già richiamato art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016,
con particolare riferimento alla materia qui controversa.
24.1. Nella disciplina delle c.d.
eccezioni relative ed assolute, infatti, il nostro ordinamento ha seguito una
soluzione simile a quella adottata dall’ordinamento anglosassone, che
distingue tra absolute exemptions e qualified exemptions.
24.2. Questa disposizione dètta, a
ben vedere, tre ipotesi di eccezioni assolute: i documenti coperti da segreto
di Stato; gli altri casi di divieti previsti dalla legge, compresi quelli in
cui l’accesso è subordinato al rispetto di specifiche condizioni,
modalità e limiti; le ipotesi contemplate dall’art. 24, comma 1, della
l. n. 241 del 1990.
24.3. Le eccezioni assolute sono
state previste dal legislatore per garantire un livello di protezione massima
a determinati interessi, ritenuti di particolare rilevanza per
l’ordinamento giuridico, come è in modo emblematico per il segreto di
Stato, sicché il legislatore ha operato già a monte una valutazione
assiologica e li ha ritenuti superiori rispetto alla conoscibilità diffusa di
dati e documenti amministrativi.
24.4. In questo caso la pubblica
amministrazione esercita un potere vincolato, che deve essere necessariamente
preceduto da un’attenta e motivata valutazione in ordine alla
ricorrenza, rispetto alla singola istanza, di una eccezione assoluta e alla
sussunzione del caso nell’ambito dell’eccezione assoluta, che è
di stretta interpretazione.
24.5. L’interpretazione
letterale propugnata dalla V sezione, pur mossa dal comprensibile intento di
ritagliare un raggio applicativo autonomo a ciascuna delle tre ipotesi
previste dal comma 3, perviene però a spezzare l’indubbio nesso
sistematico, già evidente nella formulazione del comma («ivi compresi….
inclusi») che esiste tra le singole ipotesi.
24.6. Questa Adunanza plenaria, pur
consapevole della infelice formulazione della disposizione, ne ritiene
preferibile una lettura unitaria – a partire dall’endiadi
«segreti e altri divieti di divulgazione» – evitando di scomporla e di
trarne con ciò stesso dei nuovi, autonomi l’uno dagli altri, limiti,
perché una lettura sistematica, costituzionalmente e convenzionalmente
orientata, impone un necessario approccio restrittivo (ai limiti) secondo una
interpretazione tassativizzante.
24.7. La disposizione non può invero
essere intesa nel senso di esentare dall’accesso generalizzato interi
ambiti di materie per il sol fatto che esse prevedano casi di accesso
limitato e condizionato, compresi quelli regolati dalla l. n. 241 del 1990,
perché, se così fosse, il principio di specialità condurrebbe sempre
all’esclusione di quella materia dall’accesso, con la
conseguenza, irragionevole, che la disciplina speciale o, addirittura, anche
quella generale dell’accesso documentale, in quanto e per quanto
richiamata per relationem dalla singola disciplina speciale, assorbirebbe e
“fagociterebbe” l’accesso civico generalizzato.
24.8. Verrebbe meno così,
radicalmente, il concorso tra le due forme di accesso – documentale e
generalizzato – che, per quanto problematico, è fatto salvo
dall’art. 5, comma 11, del d. lgs. n. 33 del 2013, che mantiene ferme
«le diverse forme di accesso degli interessati previste dal Capo V della
legge 7 agosto 1990, n. 241».
24.9. L’art. 5-bis, comma 3,
del d. lgs. n. 33 del 2013 ha insomma inteso rammentare che vi sono appunto
casi di eccezioni assolute, come quello del segreto di Stato, o altri,
previsti dalle varie leggi settoriali come, ad esempio, il segreto
statistico, regolamentato dall’art. 9 del d. lgs. n. 322 del 1989; il
segreto militare disciplinato dal R.D. 11 luglio 1941, n. 161; le classifiche
di segretezza di atti e documenti di cui all’art. 42 della l. n. 124
del 2007; il segreto bancario previsto dall’art. 7 del d. lgs. n. 385
del 1993; le disposizioni sui contratti secretati previste dall’art.
162 dello stesso d. lgs. n. 50 del 2016; il segreto scientifico e il segreto
industriale di cui all’art. 623 del c.p. (per una più ampia e pressoché
esaustiva indicazione dei divieti di accesso e divulgazione v le Linee guida
ANAC, par. 6.2.).
25. Per tali casi, anche quando
dette leggi richiamino i limiti generali dell’art. 24, comma 1, della
l. n. 241 del 1990, il rispetto delle specifiche restrizioni fissate dalla
legge all’accesso, per la ratio ad esse sottesa, preclude la
conoscibilità generalizzata (ma giammai – va ribadito – per
interi ambiti di materie), in quanto l’accessibilità totale di dati e
documenti è radicalmente incompatibile o con la tipologia di documento (ad esempio
perché coperto da segreto di Stato) o con la particolare sensibilità
dell’interesse protetto.
25.1. Ma in linea generale il
rapporto tra le due discipline generali dell’accesso documentale e
dell’accesso civico generalizzato e, a sua volta, il rapporto tra
queste due discipline generali e quelle settoriali – si pensi, tra le
più importanti, all’accesso civico di cui all’art. 10 del d. lgs.
n. 267 del 2000 e a quello ambientale di cui all’art. 3 del d. lgs. n.
195 del 2005 – non può essere letto unicamente e astrattamente, secondo
un criterio di specialità e, dunque, di esclusione reciproca, ma secondo un
canone ermeneutico di completamento/inclusione, in quanto la logica di fondo
sottesa alla reazione tra le discipline non è quella della separazione, ma
quella dell’integrazione dei diversi regimi, pur nelle loro differenze,
in vista della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo che
rifugge in sé da una segregazione assoluta “per materia” delle
singole discipline.
25.2. Occorre, cioè, indagare circa
la portata e il senso di tali limiti per verificare, caso per caso (la
disposizione, appunto parla di “casi”) e non per interi ambiti di
materia, se il filtro posto dal legislatore a determinati casi di accesso sia
radicalmente incompatibile con l’accesso civico generalizzato quale
esercizio di una libertà fondamentale da parte dei consociati. Anche le
eccezioni assolute insomma, come osservato pure in dottrina, non sono
preclusioni assolute perché l’interprete dovrà valutare, appunto, la
volontà del legislatore di fissare in determinati casi limiti più stringenti
all’accesso civico generalizzato.
25.3. La stessa V sezione ha
evidenziato la necessità, in linea di principio, che nei rapporti tra
discipline generali e discipline settoriali sull’accesso queste ultime
non abbiano sempre e comunque portata derogatoria, «quanto piuttosto che
[…] occorra, volta a volta, verificare la compatibilità
dell’accesso generalizzato con le «condizioni, modalità e limiti»
fissati dalla disciplina speciale» (Cons. St., sez. V, 2 agosto 2019, n.
5503).
25.4. Un diverso ragionamento
interpretativo, che identificasse interi ambiti di materia esclusi
dall’applicazione dell’accesso civico generalizzato, avallerebbe
il rischio, ben avvertito in dottrina, che i casi del comma 3 dell’art.
5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013, letti in modo frazionato e non sistematico,
si trasformino in un “buco nero” della trasparenza – frutto
anche di un sistema di limiti che si apre ad altri che rinviano ad ulteriori
con un potenziale circolo vizioso e un regressus ad infinitum – ove è
risucchiato l’accesso generalizzato, con un ritorno all’opacità
dell’azione amministrativa per effetto di una interpretazione che
trasforma l’eccezione in regola e conduce fatalmente alla creazione in
via pretoria di quelli che, con felice espressione, sono stati definiti
“segreti di fatto” accanto ai “segreti di diritto”,
espressamente contemplati dalla legge.
25.5. Tale interpretazione,
peraltro, introdurrebbe un limite – quello di materia – non
previsto espressamente dal legislatore e configurerebbe una eccezione
assoluta che, per la riserva di legge in materia ai sensi dell’art. 10
CEDU, non può essere rimessa alla discrezionalità della pubblica
amministrazione o all’opera dell’esegeta.
26. Né una base normativa a tale
eccezione assoluta si può rinvenire, a giudizio di questa Adunanza,
nell’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, disposizione speciale dettata
dal codice dei contratti.
27. L’art. 53, comma 2, del d.
lgs. n. 50 del 2016 prevede infatti che – fatta salva la disciplina
dettata dal codice dei contratti pubblici per gli appalti secretati o la cui
esecuzione richiede speciali misure di sicurezza (ipotesi straordinarie
sicuramente rientranti tra le eccezioni accesso di cui all’art. 5-bis,
comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013 per il divieto assoluto di divulgazione e
accesso) – il diritto di accesso sia semplicemente differito, in
relazione al nominativo dei soggetti che nelle procedure aperte hanno
presentato offerte o, nelle procedure ristrette e negoziate e nelle gare
informali, in relazione all’elenco dei soggetti che hanno fatto
richiesta di invito e che hanno manifestato il loro interesse e in relazione
alle offerte stesse, fino alla scadenza del termine per la presentazione
delle medesime offerte; in relazione alle offerte e al procedimento di
verifica dell’anomalia, fino all’aggiudicazione.
27.1. Questi atti, fino alla
scadenza di termini indicati, «non possono essere comunicati a terzi o resi
in qualsiasi altro modo noti» (art. 53, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016)
e la trasgressione di tale divieto è presidiata dalla sanzione penale di cui
all’art. 326 c.p..
27.2. È questa una esclusione
assoluta del diritto di accesso, per quanto temporalmente limitata,
incompatibile con il diritto di accesso civico generalizzato, ai sensi dell’art.
5-bis, comma 2, del d. lgs. n. 33 del 2013, perché finalizzata a preservare
la regolare competizione tra i concorrenti e il buon andamento della
procedura di gara da indebite influenze, intromissioni, e turbamenti, e
quindi dalla conoscenza di tali atti, prima della gara, da parte di chiunque,
uti singulus ed uti civis.
27.3. Viene qui in rilievo una
disciplina speciale, il cui nucleo centrale è costituito dalla conoscibilità
progressiva della documentazione di gara, regolata da precise scansioni
temporali volte a contemperare le ragioni dell’accesso con l’esigenza
di assicurare il regolare svolgimento delle procedure selettive.
27.4. L’art. 53, comma 5, del
d. lgs. n. 50 del 2016 prevede, parimenti, una esclusione assoluta del
diritto di accesso in relazione:
a) alle informazioni fornite
nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che
costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione
dell’offerente, segreti tecnici e commerciali;
b) ai pareri legali acquisiti dai
soggetti tenuti all’applicazione del codice dei contratti pubblici per
la soluzione delle liti, potenziali o in atto, relative ai contratti
pubblici;
c) alle relazioni riservate del
direttore dei lavori, del direttore dell’esecuzione e dell’organo
di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del
contratto;
d) alle soluzioni tecniche e ai
programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione appaltante o dal gestore
del sistema informatico per le aste elettroniche, ove coperti da diritti di
privativa intellettuale.
27.5. L’unica deroga a queste
eccezioni assolute è prevista, nel comma 6 dell’art. 53 del d. lgs. n.
50 del 2016, per l’accesso documentale c.d. difensivo del concorrente
in ordine alle informazioni contenute nell’offerta o nelle
giustificazioni di altro concorrente per la tutela in giudizio dei propri
interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto, in linea,
del resto, con quanto prevede in generale l’art. 23, comma 6, della l.
n. 241 del 1990 per la prevalenza dell’accesso documentale c.d.
difensivo.
27.6. L’eccezione di cui alla
lett. a) è posta a tutela della riservatezza aziendale, al fine di evitare
che gli operatori economici in diretta concorrenza si servano
dell’accesso per acquisire informazioni riservate sul know-how del
concorrente, costituenti segreti tecnici e commerciali, e ottenere così un
indebito vantaggio e ha una natura assoluta perché, nel bilanciamento tra gli
opposti interessi, il legislatore ha privilegiato quello, prevalente, della
riservatezza, a tutela di un leale gioco concorrenziale, delle
caratteristiche essenziali dell’offerta quali beni essenziali per lo
sviluppo e per la stessa competizione qualitativa, che sono prodotto
patrimoniale della capacità ideativa o acquisitiva della singola impresa
(Cons. St., sez. V, 7 gennaio 2020, n. 64), salva la necessità, per un altro
concorrente, di difendersi in giudizio, unica eccezione all’eccezione
ammessa (art. 53, comma 6, del d. lgs. n. 50 del 2016).
27.7. Analoga ratio di tutela della
privativa intellettuale giustifica anche la previsione della lett. d), per le
soluzioni tecniche e i programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione
appaltante o dal gestore del sistema informatico per le aste elettroniche,
ove coperti da diritti di privativa intellettuale.
27.8. Le eccezioni di cui alla lett.
b) e alla lett. c) dell’art. 53 mirano ad impedire la divulgazione di
atti che, quando riferibili ad un contenzioso attuale o potenziale con
l’appaltatore, sono investiti da specifiche esigenze di riservatezza
volte a tutelare le ragioni di ordine patrimoniale della stazione appaltante,
la quale deve negare l’accesso per tutelare se stessa di fronte al
privato che intenda accedere «ad atti interni che riguardino la sfera delle
libere valutazioni dell’amministrazione in ordine alla convenienza
delle scelte da adottare» (Ad. plen., 13 settembre 2007, n. 11).
28. La portata limitata anche
temporalmente e motivata di questi casi, peraltro di stretta interpretazione,
non può comportare ex se l’esclusione dell’intera materia
dall’applicazione dell’accesso civico generalizzato, che riacquista
la sua naturale vis expansiva una volta venute meno le ragioni che
giustificano siffatti limiti, condizioni o modalità di accesso.
28.1. Se dunque i limiti previsti
per l’accesso ai documenti amministrativi di cui agli artt. 22 e
seguenti della legge n. 241 del 1990 e quelli dettati dalle singole
discipline settoriali non possono essere superati ricorrendo strumentalmente
all’istituto dell’accesso civico generalizzato, deve ritenersi
che, una volta venute meno le ragioni di questi limiti, tra cui quelli appena
accennati dell’art. 53 del codice dei contratti pubblici, sul piano sia
temporale sia contenutistico, l’accesso civico generalizzato opera di
diritto, senza che sia necessaria nel nostro ordinamento una specifica
disposizione di legge che ne autorizzi l’operatività anche in
specifiche materie, come quella dei contratti pubblici, con la conseguenza
che l’accesso civico generalizzato, ferme le eccezioni relative di cui
all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013, è ammissibile
in ordine agli atti della fase esecutiva.
29. Le conclusioni sin qui raggiunte
si rinvengono sostanzialmente anche nella delibera ANAC n. 317 del 29 marzo
2017 nella quale l’Autorità ha chiarito che, se è esatto che tra i
limiti all’accesso civico generalizzato di cui agli artt. 5 e 5-bis del
d. lgs. n. 33 del 2013 ci sono le pertinenti disposizioni del codice dei
contratti pubblici, deve per converso ritenersi che, una volta venute meno le
condizioni che sorreggevano quei limiti, e quindi successivamente
all’aggiudicazione della gara, il diritto di accesso debba essere
consentito a chiunque, ancorché nel rispetto dei limiti previsti
dall’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013.
30. Con specifico riferimento alla
materia dei contratti pubblici, le esigenze di accesso civico generalizzato,
assumono, a ben vedere, una particolare e più pregnante connotazione, perché
costituiscono la «fisiologica conseguenza» dell’evidenza pubblica, in
quanto che ciò che è pubblicamente evidente, per definizione, deve anche essere
pubblicamente conoscibile, salvi, ovviamente, i limiti di legge e solo di
legge, per le ragioni già esposte.
30.1. È vero che la l. n. 190 del
2012 ha previsto, nel comma 32, numerosi obblighi di pubblicazione degli atti
di gara e l’art. 37 del d. lgs. n. 33 del 2013, in attuazione di tale
delega, stabilisce un generale regime di pubblicità per tali atti. E
l’art. 29 del d. lgs. n. 50 del 2016, come si è già accennato, ha
disciplinato in modo analitico la pubblicazione di tali atti. Ma la
sussistenza di obblighi di pubblicazione di numerosi atti in materia di gara
non può condurre all’esclusione dell’accesso civico generalizzato
sul rilievo che gli obblighi “proattivi” di pubblicazione
soddisferebbero già, in questa materia, il bisogno o, comunque, il desiderio di
conoscenza che contraddistingue il principio di trasparenza.
30.2. Una siffatta lettura, ancora
una volta, sconta una logica di separatezza anzi che di integrazione tra le
diverse tipologie di accesso che il legislatore ha inteso lasciar coesistere
nel nostro ordinamento. Per contro, è proprio questa logica ermeneutica di
integrazione che induce a ritenere che la obbligatoria pubblicità di
determinati atti (c.d. disclosure proattiva) è solo un aspetto, pur
fondamentale, della trasparenza, che tuttavia si manifesta e si completa
nell’accessibilità degli atti (c.d. disclosure reattiva) nei termini
previsti per l’accesso civico generalizzato.
30.3. Del resto la configurazione di
una trasparenza che risponda a “un controllo diffuso” della
collettività sull’azione amministrativa è particolarmente avvertita
nella materia dei contratti pubblici e delle concessioni e, in particolare,
nell’esecuzione di tali rapporti, dove spesso si annidano fenomeni di
cattiva amministrazione, corruzione e infiltrazione mafiosa, con esiti di
inefficienza e aree di malgoverno per le opere costruite o i servizi forniti
dalla pubblica amministrazione e gravi carenze organizzative tali da
pregiudicare persino il godimento di diritti fondamentali da parte dei
cittadini nella loro pretesa ai cc.dd. diritti sociali.
30.4. Non è più possibile affermare,
in un quadro evolutivo così complesso che impone una visione d’insieme
anche alla luce delle coordinate costituzionali, eurounitarie e
convenzionali, che l’accesso agli atti di gara costituisca un
microcosmo normativo compiuto (v., in questo senso, Cons. St., sez. V, 9
dicembre 2008, n. 6121) e chiuso.
30.5. La lettura unitaria,
armonizzante, integratrice tra le singole discipline, divenuta predominante
nella giurisprudenza di questo Consiglio già nel rapporto tra l’accesso
agli atti di gara e l’accesso documentale della l. n. 241 del 1990 in
termini di complementarietà (v., in particolare, Cons. St., sez. VI, 30
luglio 2010, n. 5062), deve essere estesa a tutte le tipologie di accesso,
ivi incluso quello civico, semplice e generalizzato, come suggerisce
condivisibilmente l’ordinanza di rimessione, senza peraltro dover fare
riferimento alla pur raffinata tecnica del rinvio “mobile”
dell’art. 53 alla l. n. 241 del 1990, per le ragioni tutte esplicitate,
alle disposizioni della l. n. 241 del 1990 siccome integrate/combinate con il
complesso normativo del d. lgs. n. 33 del 2013.
31. L’esigenza di una
conoscenza diffusa dei cittadini nell’esecuzione dei contratti pubblici
è con forza avvertita nella normativa europea, come ha ben messo in rilievo
questo Consiglio di Stato nella sopra richiamata sentenza n. 3780 del 2019.
31.1. Il considerando 126 della
Direttiva n. 2014/24/UE ricorda, a tacer d’altro, che la tracciabilità
e la trasparenza del processo decisionale nelle procedure di appalto «è
essenziale per garantire procedure leali nonché combattere efficacemente la
corruzione e le frodi», sicché le pubbliche amministrazioni dovrebbero
conservare le copie dei contratti conclusi di valore elevato per garantire
alle parti interessate l’accesso a tali documenti, conformemente alle
norme applicabili in materia di accesso alla documentazione.
31.2. Ancor più chiaramente e
nettamente, poi, il considerando n. 122 della stessa Direttiva osserva che «i
cittadini, i soggetti interessati, organizzati o meno, e altre persone od
organismi che non hanno accesso alle procedure di ricorso di cui alla
Direttiva 98/665/CE hanno comunque un interesse legittimo in qualità di
contribuenti a un corretto svolgimento delle procedere di appalto» e
«dovrebbero avere la possibilità, con modalità diverse dal sistema di ricorso
di cui alla Direttiva 89/665/CE e senza che ciò comporti necessariamente una
loro azione dinanzi a corti e tribunali, di segnalare le eventuali violazioni
della presente Direttiva all’autorità o alla struttura competente».
31.3. Le sentenze n. 5502 e n. 5503
del 2 agosto 2019 della V sezione hanno ben richiamato l’essenziale
ruolo di vigilanza svolto dall’ANAC in questo settore, ma non va
trascurato il ruolo che un controllo generalizzato sull’aggiudicazione
e sull’esecuzione del contratto svolge proprio l’accesso civico
generalizzato, come ridisegnato dal d. lgs. n. 96 del 2017, con la
conseguente possibilità di effettuare segnalazioni documentate da parte di
terzi, una volta ottenuta la relativa documentazione con l’accesso,
anche all’ANAC, che può esercitare il suo potere di raccomandazione ai
sensi dell’art. 213 del d. lgs. n. 50 del 2016 anche nella fase
esecutiva.
31.4. Il vigente Regolamento
sull’esercizio dell’attività di vigilanza in materia di contratti
pubblici, adottato dall’ANAC e pubblicato sulla G.U. del 16 ottobre
2018, prevede, all’art. 12, comma 1, lett. b), che il procedimento di
vigilanza possa concludersi, infatti, con «l’accertamento di atti
illegittimi o irregolari della procedura di gara o dell’esecuzione del
contratto, eventualmente accompagnato da raccomandazioni, rivolte alle
stazioni appaltanti interessate, a rimuovere le illegittimità o irregolarità
riscontrate, ovvero ad adottare atti volti a prevenire, per il futuro, il
ripetersi di tali illegittimità e irregolarità». E particolare attenzione a
sua volta l’art. 24 del Regolamento, dedica, sempre in relazione alla
fase esecutiva, alle varianti in corso d’opera.
31.5. Risulta così confermato che,
nel nostro ordinamento, l’esecuzione del contratto non è una terra di
nessuno, lasciata all’arbitrio dei contraenti e all’indifferenza
dei terzi, ma sottoposta all’attività di vigilanza da parte
dell’ANAC, trattandosi di una fase rilevante per l’ordinamento
giuridico, come dimostrano le funzioni pubbliche di vigilanza e controllo
previste, nella cui cornice trova spazio, in funzione si direbbe
complementare e strumentale, anche l’accesso generalizzato dei
cittadini.
31.6. Questo, invero, non solo non è
escluso dall’attività di vigilanza dell’ANAC, ma anzi può ben
porsi rispetto alla stessa in funzione, come si è appena ricordato,
strumentale; può consentire, infatti, che, tramite l’accesso civico
generalizzato, siano valutate «le segnalazioni di violazione della normativa
in materia di contratti pubblici presentate da terzi, compatibilmente con le
esigenze organizzative e di funzionamento degli uffici, tenendo conto in via
prioritaria della gravità della violazione e della rilevanza degli interessi
coinvolti dall’appalto» (art. 4, comma 4, del Regolamento) e che
l’apposito modulo della segnalazione, predisposto dall’ANAC, sia
«corredato della eventuale documentazione» (art. 5, comma 2, del Regolamento)
acquisita in occasione dell’accesso generalizzato, essendo altrimenti
di fatto impossibile per il cittadino “contribuente” segnalare
eventuali violazioni all’Autorità di settore, come invece auspica il
considerando n. 122, in maniera consapevole e documentata.
32. Nel parere n. 2777 del 28
dicembre 2016 la Commissione speciale di questo Consiglio di Stato ha più
volte evidenziato questo ruolo di controllo diffuso che ciascun cittadino può
esercitare nella materia dei contratti pubblici accanto e, si direbbe, in
ausilio al ruolo istituzionale di vigilanza rivestito dall’ANAC,
proprio valorizzando le chiare indicazioni provenienti dal considerando n.
122 della Direttiva 2014/24/UE.
32.1. In detto parere, questo
Consiglio ha osservato che la possibilità di consentire la segnalazione a
qualsivoglia cittadino che ne abbia interesse risponde al principio di
vigilanza sulla legittimità degli atti di gara, «quale interesse a carattere
generale ed azionabile anche dal cittadino contribuente», e ha rammentato che
la via d’elezione per far valere l’interesse alla trasparenza non
è la segnalazione, che richiede almeno un fumus di illegittimità di uno o più
atti, bensì l’accesso civico di cui al d. lgs. n. 33 del 2013, come
modificato dal d. lgs. n. 97 del 2016.
32.2. L’accesso generalizzato,
quale via elettiva della trasparenza, soddisfa dunque ampiamente questo
diffuso desiderio conoscitivo finalizzato alla garanzia della legalità nei
contratti pubblici, che è per così dire la rinnovata e moderna cifra
dell’evidenza pubblica non solo nella tradizionale fase
dell’aggiudicazione ma anche nell’esecuzione, dovendo questa,
come detto, rispettarne specularmente condizioni, contenuti e limiti.
32.3. Le ragioni sin qui esposte
spiegano perché l’accesso civico generalizzato non solo sia consentito,
in questa materia, ma sia doveroso perché connaturato, per così dire,
all’essenza stessa dell’attività contrattuale pubblica e perché
esso operi, in funzione della c.d. trasparenza reattiva, soprattutto in
relazione a quegli atti, rispetto ai quali non vigono i pur numerosi obblighi
di pubblicazione (c.d. trasparenza proattiva) previsti.
33. Argomenti di carattere
letterale, teleologico e sistematico come quelli esposti depongono, dunque,
nel senso di una accessibilità totale degli atti di gara, seppur sempre nel
rispetto degli interessi-limite, pubblici e privati, e delle conseguenti
eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n.
33 del 2013.
34. Occorre tenere conto, tuttavia,
delle ulteriori importanti questioni poste dalla V sezione nelle citate
sentenze n. 5502 e n. 5503 del 2019 e sopra ricordate ed esposte nel par.
21.4.
35. Quanto alla prima questione, di
cui alla lett. a) del 21.5., concernente il delicato bilanciamento tra il
valore, fondamentale, dell’accesso e quello, altrettanto fondamentale,
della riservatezza, la circostanza che l’accesso possa prevedibilmente
soccombere di fronte alle ragioni normativamente connesse alla riservatezza
dei dati dei concorrenti non può condurre a un’aprioristica esclusione
dell’accesso.
35.1. Tutte le eccezioni relative
all’accesso civico generalizzato implicano e richiedono un
bilanciamento da parte della pubblica amministrazione, in concreto, tra
l’interesse pubblico alla conoscibilità e il danno
all’interesse-limite, pubblico o privato, alla segretezza e/o alla
riservatezza, secondo i criteri utilizzati anche in altri ordinamenti, quali
il cd. test del danno (harm test), utilizzato per esempio in Germania, o il
c.d. public interest test o public interest override, tipico dell’ordinamento
statunitense o di quello dell’Unione europea (art. 4, par. 2, del reg.
(CE) n. 1049/2001: v., per un’applicazione giurisprudenziale, Trib. UE,
sez. I, 7 febbraio 2018, in T-851/16), in base al quale occorre valutare se
sussista un interesse pubblico al rilascio delle informazioni richieste
rispetto al pregiudizio per l’interesse-limite contrapposto.
35.2. È vero, infatti, che escludere
dall’accesso anche generalizzato la documentazione suscettibile di
rivelare gli aspetti tecnologici, produttivi, commerciali e organizzativi,
costituenti i punti di forza o di debolezza delle offerte nel confronto
competitivo, costituisce un obiettivo delle norme in materia di appalti
pubblici dell’Unione, e che per conseguire tale obiettivo è necessario
che le autorità aggiudicatrici non divulghino informazioni il cui contenuto
potrebbe essere utilizzato per falsare la concorrenza, (Trib. I grado UE,
sez. II, 29 gennaio 2013, in T-339/10 e in T-532/10 nonché Corte Giust UE,
sez. III, 14 febbraio 2008, in C-450/06).
35.3. E tuttavia questo obiettivo
può e deve essere conseguito appunto, in una equilibrata applicazione del
limite previsto dall’art. 5-bis, comma 2, lett. c), del d. lgs. n. 33
del 2013, secondo un canone di proporzionalità, proprio del test del danno
(c.d. harm test), che preservi il know-how industriale e
commerciale dell’aggiudicatario o di altro operatore economico
partecipante senza sacrificare del tutto l’esigenza di una anche
parziale conoscibilità di elementi fattuali, estranei a tale know-how o comunque
ad essi non necessariamente legati, e ciò nell’interesse pubblico a
conoscere, per esempio, come certe opere pubbliche di rilevanza strategica
siano realizzate o certi livelli essenziali di assistenza vengano erogati da
pubblici concessionari.
35.4. Va ribadito –
concludendo sul punto – che ciò che distingue le eccezioni relative
dalle eccezioni assolute è proprio il fatto che non sussista a monte, nella
scala valoriale del legislatore, una priorità ontologica o una prevalenza
assiologica di alcuni interessi rispetto ad altri, sicché è rimesso
all’amministrazione effettuare un adeguato e proporzionato
bilanciamento degli interessi coinvolti..
36. Quanto alla seconda questione,
di cui alla lett. b) del punto 21.4, sopra ricordata, non persuade nemmeno
l’argomento secondo cui notevole sarebbe l’aumento dei costi di
gestione del procedimento di accesso, da parte delle singole pubbliche
amministrazioni, aumento che, in una prospettiva di diffusa applicazione
dell’accesso civico generalizzato anche ai contratti pubblici,
necessiterebbe di apposita disposizione di legge.
36.1. Se il nostro ordinamento ha
ormai accolto il c.d. modello FOIA non è l’accesso pubblico
generalizzato degli atti a dover essere, ogni volta, ammesso dalla legge, ma
sono semmai le sue eccezioni a dovere rinvenire un preciso, tassativo,
fondamento nella legge.
36.2. Non deve nemmeno essere
drammatizzato l’abuso dell’istituto, che possa condurre a una
sorta di eccesso di accesso.
36.3. Innanzi tutto, va rilevato che
l’esperienza applicativa del FOIA nei primi tre anni dalla sua
introduzione, come emerge dai dati pubblicati dal Dipartimento della funzione
pubblica, rivela un uso “normale” delle istanze di accesso
civico; infatti, le istanze pervenute ai ministeri sono aumentate da 1146 nel
2017 a 1818 nel 2018, con una media, nel secondo anno, di 11 richieste
mensili per ministero, assolutamente in linea con la media europea e con un
tasso di risposte evase da parte dei ministeri nel termine di legge (trenta
giorni), in aumento, dal 74% nel 2017 all’83% nel 2018.
36.4. In secondo luogo, è ovvio che
l’accesso, finalizzato a garantire, con il diritto
all’informazione, il buon andamento dell’amministrazione (art. 97
Cost.), non può finire per intralciare proprio il funzionamento della stessa,
sicché il suo esercizio deve rispettare il canone della buona fede e il
divieto di abuso del diritto, in nome, anzitutto, di un fondamentale
principio solidaristico (art. 2 Cost.).
36.5. Il diritto di accesso civico
generalizzato, se ha un’impronta essenzialmente personalistica, quale
esercizio di un diritto fondamentale, conserva una connotazione
solidaristica, nel senso che l’apertura della pubblica amministrazione
alla conoscenza collettiva è funzionale alla disponibilità di dati di
affidabile provenienza pubblica per informare correttamente i cittadini ed
evitare il propagarsi di pseudoconoscenze e pseudocoscienze a livello
diffuso, in modo – come è stato efficacemente detto – da
«contribuire a salvare la democrazia dai suoi demoni, fungendo da antidoto alla
tendenza […] a manipolare i dati di realtà».
36.6. Sarà così possibile e doveroso
evitare e respingere: richieste manifestamente onerose o sproporzionate e,
cioè, tali da comportare un carico irragionevole di lavoro idoneo a
interferire con il buon andamento della pubblica amministrazione; richieste
massive uniche (v., sul punto, Circolare FOIA n. 2/2017, par. 7, lett. d;
Cons. St., sez. VI, 13 agosto 2019, n. 5702), contenenti un numero cospicuo
di dati o di documenti, o richieste massive plurime, che pervengono in un
arco temporale limitato e da parte dello stesso richiedente o da parte di più
richiedenti ma comunque riconducibili ad uno stesso centro di interessi;
richieste vessatorie o pretestuose, dettate dal solo intento emulativo, da
valutarsi ovviamente in base a parametri oggettivi.
37. Quanto alla terza questione, di
cui alla lett. c), nemmeno convince l’argomento secondo cui
l’ammissibilità dell’accesso civico generalizzato, in questa
materia, verrebbe utilizzato per la soddisfazione di interessi economici e
commerciali del singolo operatore, nell’intento di superare i limiti
interni dei rimedi specificamente posti dall’ordinamento a tutela di
tali interessi, ove compromessi dalla conduzione delle procedure di
affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici.
37.1. La circostanza che
l’interessato non abbia un interesse diretto, attuale e concreto ai
sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, non per questo rende
inammissibile l’istanza di accesso civico generalizzato, nata anche per
superare le restrizioni imposte dalla legittimazione all’accesso
documentale.
37.2. Non si deve confondere da
questo punto di vista la ratio dell’istituto con l’interesse del
richiedente, che non necessariamente deve essere altruistico o sociale né
deve sottostare ad un giudizio di meritevolezza, per quanto, come detto,
certamente non deve essere pretestuoso o contrario a buona fede.
37.3. Ciò che va tutelato è
l’interesse alla conoscenza del dato e questa conoscenza non può essere
negata, anche ai sensi del considerando n. 122 della richiamata direttiva,
anche e anzitutto all’operatore economico del settore, come è Diddi
s.r.l..
38. L’Adunanza plenaria,
conclusivamente, enuncia, sulle questioni postele, i seguenti princìpi di
diritto, anche ai sensi dell’art. 99, comma 5, c.p.a.:
a) la pubblica amministrazione ha il
potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai
documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente
senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina
dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non
abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina
dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare
l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della l. n. 241 del
1990, senza che il giudice amministrativo, adìto ai sensi dell’art. 116
c.p.a., possa mutare il titolo dell’accesso, definito
dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla
pubblica amministrazione all’esito del procedimento;
b) è ravvisabile un interesse
concreto e attuale, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, e
una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase
esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in
relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per
inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della
graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca
in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto
svolgimento del rapporto contrattuale;
c) la disciplina dell’accesso
civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui
all’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti
delle procedure di gara e, in particolare, all’esecuzione dei contratti
pubblici, non ostandovi in senso assoluto l’eccezione del comma 3
dell’art. 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con
l’art. 53 e con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non esenta
in toto la materia dall’accesso civico generalizzato, ma resta ferma la
verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di
cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite,
pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il
valore della trasparenza e quello della riservatezza.
39. Riassuntivamente e
conclusivamente, l’appello della società è in parte infondato, per
quanto attiene alla richiesta di accesso ai sensi della l. n. 241 del 1990,
sia pure per una motivazione diversa da quella contenuta nella sentenza
impugnata.
40. L’ammissibilità
dell’istanza di accesso civico, viceversa, dovrà essere esaminata dalla
Sezione rimettente, cui l’affare va restituito per ogni definitiva
statuizione, che si uniformerà ai princìpi di diritto su enunciati.
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