Aggiornamento - Amministrativo |
CONSIGLIO
DI STATO, ADUNANZA PLENARIA – sentenza 13 aprile 2015 n. 4 sul risarcimento
danni e annullamento del provvedimento FATTO Con ordinanza
di remissione alla Adunanza Plenaria n. 284 del 2015
La dottoressa
Lorella Giammaria, attuale appellante, partecipava a concorso pubblico per
titoli ed esami avente ad oggetto la copertura di
tre posti di funzionario tecnico di ragioneria (all’epoca VIII
qualifica funzionale, ai sensi del d.P.R. 25 giugno 1983 n.347), dei quali
uno riservato al personale interno, indetto dal Comune de L’Aquila, con
deliberazione della Giunta Comunale n.1363 del 26 agosto 1997. Nel bando di
concorso era previsto, tra le altre cose, all’art. 6
il programma di esami, stabilendo che sarebbero state svolte due prove
scritte, una in materia di legislazione amministrativa e tributaria
concernente gli enti locali, e la seconda in materia di diritto
amministrativo e tributario con particolare riferimento agli enti locali. In relazione alla
nomina della commissione esaminatrice, l’art. 8 del bando rinviava alla
normativa vigente; l’art. 9 del bando precisava che avrebbero
conseguito l’ammissione al colloquio orale i candidati che avessero
riportato in ciascuna prova scritta la valutazione di almeno 7/10. Con nota del
28 aprile 1999 del presidente della commissione esaminatrice, la signora
Giammaria veniva informata di avere ottenuto il
punteggio di 4/10 per il suo elaborato relativo alla prima prova scritta e di
6/10 per l’elaborato relativo alla seconda prova scritta e quindi di
non essere stata ammessa a sostenere la prova orale. L’attuale
appellante riferiva di avere chiesto in data 15 maggio 1999 accesso alla
documentazione amministrativa relativa al concorso e di avere constatato che la votazione insufficiente le era stata
attribuita da una commissione d’esame da lei ritenuta non costituita
secondo la disciplina prevista dall’art. 37 del Regolamento organico
del personale del Comune e che, in violazione dell’art. 46 dello stesso
regolamento, la commissione non aveva provveduto alla previa determinazione
dei criteri e delle modalità di valutazione delle prove sostenute. Proponeva
quindi ricorso sub. R.G.N. 469 del 1999 innanzi al T.A.R. per
l’Abruzzo, sede de L’Aquila, chiedendo
l’annullamento del provvedimento recante la sua mancata ammissione alle
prove orali, nonché delle deliberazioni della Giunta Comunale n.565 del 21
maggio 1998 e n. 979 del 14 luglio 1998, recanti la nomina della commissione
esaminatrice, nonché degli atti della procedura concorsuale e, segnatamente,
dei verbali della commissione esaminatrice n. 1 del 30 settembre 1998, n.2
del 7 ottobre 1998 e n. 8 del 28 aprile 1999. Con il
ricorso di primo grado venivano dedotte le seguenti
censure: 1) violazione dell’art. 37 del Regolamento organico del
Personale in vigore presso il Comune de L’Aquila, degli artt. 1 e 8 del
bando, per illegittimità della composizione della commissione, in quanto il
funzionario “esperto” componente della commissione, prescelto tra
i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, non apparteneva, come invece
prescritto, alla qualifica funzionale superiore rispetto a quella relativa al
posto messo a concorso, non essendo un dirigente; 2) violazione
dell’art. 46 del regolamento non avendo la commissione previamente
stabilito, nella prima riunione, i criteri di valutazione delle prove
scritte; 3) eccesso di potere per illogicità manifesta e contraddittorietà. La ricorrente
concludeva per l’accoglimento del ricorso, con
ogni consequenziale statuizione in ordine alle spese ed onorari del giudizio;
si costituivano i controinteressati Elena Sico e Paolo Costanzi, eccependo
preliminarmente l’inammissibilità del ricorso e chiedendo la sua
reiezione; non si costituiva il Comune. Con la
sentenza di primo grado n. 69 depositata in data 5 marzo 2002, l’adito
Tribunale respingeva il ricorso, prescindendo dall’esame
dell’eccezione di inammissibilità, ritenendo
che: a) in ordine al primo motivo, dal certificato rilasciato dal Dirigente
amministrativo del Comune di Roseto degli Abruzzi, amministrazione di
appartenenza dell’esperto componente della commissione, depositato in
data 3 novembre 2001, si evince che la stessa, dott. Rosaria Ciancaione, con
atti sindacali in data 25 giugno 1998, 11 dicembre 1998 e 9 febbraio 1999, è
stata nominata Dirigente di Ragioneria ed è tuttora (era) in servizio in
qualità di dirigente Direttore di ragioneria; gli atti formali di incarico,
ancorchè non costituenti formali atti di nomina, tuttavia sono idonei a
supportare la qualità di “esperta” di una Commissione per
l’esperienza e la capacità professionale acquisite e riconosciute,
dovendosi quindi ritenere che sostanzialmente l’art. 37 esige garanzie
sostanziali del soggetto alla sua idoneità a svolgere la funzione di esperto
nell’ambito della commissione e quindi, avendo la nominata dott.
Ciancaione effettivamente espletato funzioni dirigenziali, ella abbia l’esperienza
sostanziale richiesta; b) il secondo motivo era da respingere perché ritenuto
infondato, in quanto la predeterminazione dei criteri di valutazione delle
prove (non dei titoli, che risultano nella fattispecie determinati nel
verbale n. 1 del 30 settembre 1998) di un concorso non può considerarsi
elemento imprescindibile ai fini della legittimità concorsuale, poiché
trattasi di attività rimessa alla discrezionalità amministrativa, quando la
valutazione avvenga mediante l’attribuzione di punteggio numerico, configurandosi
questo come esternazione della valutazione tecnica compiuta dalla
Commissione; in sostanza veniva ritenuto sufficiente il voto numerico; c)
veniva dichiarato inammissibile il terzo motivo di ricorso, perché pretendeva
una rivalutazione di merito degli elaborati, riservata alla discrezionalità
tecnica della commissione e sindacabile solo in termini limitati di manifesta
irrazionalità ed ingiustizia; venivano compensate le spese. Con
l’appello proposto r.g.n. 9166 del 2002 l’appellante chiedeva la
riforma della sentenza appellata, riproponendo anche
nel presente grado le prime due censure sopra descritte e riferendo le sue
censure anche alle considerazioni argomentative contenute nella sentenza di
rigetto. Si sono
costituiti i signori Costanzi Paolo e Sico Elena, replicando ai motivi
avversari e chiedendo il rigetto dell’appello. Con ordinanza
collegiale n. 1170 del 13 marzo 2014 Il Comune provvedeva a tale incombente in data 23 aprile 2014 e
provvedeva a costituirsi nel presente grado chiedendo il rigetto
dell’appello. Alla udienza
pubblica del 9 luglio 2014 la causa veniva decisa. In ordine al secondo
motivo, Pertanto,
differentemente dal primo giudice, L’ordinanza
di remissione ritiene che, pur avendo la parte formalmente impugnato gli atti
della procedura concorsuale chiedendone
l’annullamento, l’adito giudice amministrativo potrebbe,
basandosi su una valutazione di tutte le circostanze, mutando d’ufficio
la domanda, disporre unicamente il risarcimento del danno, senza il previo
annullamento degli atti illegittimi; in tal senso varrebbero i principi di
giustizia richiamati dalla sentenza del Consiglio di Stato sezione sesta n.
2755 del 2011 che, pure in controversia in materia ambientale e in
applicazione di principi del diritto europeo, ha statuito il potere del
giudice amministrativo di non disporre l’annullamento dell’atto
illegittimo, quando nessun vantaggio arrechi al ricorrente né ne derivi alcun
beneficio agli interessi pubblici; in tale senso varrebbero anche i principi
di proporzionalità, equità e giustizia, che debbono permeare anche la
giustizia amministrativa, oltre che l’attività della pubblica
amministrazione. L’ordinanza
di rimessione aggiunge che, se l’appellante avesse formulato espressa
domanda di risarcimento derivante dalla illegittimità
della procedura concorsuale conclusasi nell’anno 1999, il giudizio
avrebbe potuto concludersi con l’accoglimento della domanda
risarcitoria, senza necessità di provvedere all’annullamento degli atti
impugnati, potendo il giudice “modulare” la tutela, in
considerazione del danno sociale che deriverebbe da un eventuale annullamento. E’
vero, osserva l’ordinanza di rimessione, che il lungo tempo trascorso
non costituisce in sé una giusta ragione per non disporre
l’annullamento; tuttavia, ciò sarebbe possibile su questioni che
riguardano le persone fisiche e le loro attività lavorative (si direbbe
l’esistenza libera e dignitosa di cui all’art. 36 Cost.),
valutando che l’annullamento, mentre sottrarrebbe un bene della vita
essenziale ad uno o più controinteressati
incolpevoli, neppure attribuirebbe al ricorrente se non una chance o una mera
possibilità di rinnovazione procedimentale. A tal fine
menziona giurisprudenza che legge il comma 3
dell’art. 34 del cod. proc. amm. – che prevede che “quando nel corso del giudizio,
l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il
ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se
sussiste l’interesse a fini risarcitori” – nel
senso che non debba esservi una espressa richiesta dell’interessato
(così Cons. Stato, V, 12 maggio 2011, n.2817) perché vi è sempre un quid di
accertamento, perché il più comprende il meno, perché la norma utilizza una
espressione vincolante e quindi la sussistenza dell’interesse può
essere compiuta d’ufficio anche in assenza di domanda, a fronte di
contrari precedenti (così Cons. Stato, V, 14 dicembre 2011, n.6539 e 6
dicembre 2010, n.8550) secondo i quali incombe sempre sulla parte istante
l’onere di allegare i presupposti per la successiva azione risarcitoria
(così, Cons. Stato, V, 28 dicembre 2012, n.6703) e quindi di proporre espressamente,
se pure non formalisticamente ma in sostanza, la domanda di accertamento
dell’illegittimità o di manifestare un interesse al solo accertamento,
a successivi fini risarcitori. Alla udienza di
discussione del 25 marzo 2015 la causa, previa discussione, è stata
trattenuta in decisione. In sede di
discussione l’avvocato di parte appellante ha ribadito
le sue conclusioni e l’interesse della parte assistita
all’annullamento degli atti impugnati; la difesa dei controinteressati
ha concluso nel senso che siano condivise le conclusioni proposte dalla
ordinanza di rimessione. DIRITTO 1. La parte
ha chiesto e continuato a chiedere l’annullamento degli atti della
procedura concorsuale, comprensivi del giudizio
negativo nei suoi confronti e della graduatoria pubblicata; nelle conclusioni
dell’appello ha espresso tale richiesta di annullamento (“che la sentenza appellata venga annullata o
quantomeno riformata, disponendosi in accoglimento del ricorso al Tar la
rinnovazione degli atti della procedura concorsuale con ogni consequenziale
statuizione anche in ordine al pagamento delle spese del doppio grado di
giudizio”), chiedendo, come visto, anche, nel petitum, la “rinnovazione” della procedura
concorsuale; nella memoria depositata in data 8 gennaio 2014, la parte appellante
afferma che il lungo tempo trascorso dalla proposizione dell’appello
non ha inciso negativamente sulla posizione, sussistendo ancora interesse
alla decisione di merito e all’annullamento dei provvedimenti
impugnati. Tale
posizione è stata ribadita in sede di udienza di
discussione. A fronte di detta domanda, l’ordinanza di
rimessione pone la questione se, ritenuta la fondatezza del gravame, sia dato
al giudice amministrativo emettere ex
officio una pronuncia di risarcimento del danno anziché di annullamento,
tenuto conto degli effetti particolarmente pregiudizievoli di
quest’ultimo nei confronti delle altre parti interessate, anche in relazione al tempo trascorso dalla emanazione degli
atti impugnati. 2. L’Adunanza plenaria ritiene che la tesi
contenuta nell’ordinanza di rimessione non può essere
condivisa e ciò: a) sulla base del principio della domanda, che regola
anche il processo amministrativo; b) sulla base della natura della giustizia
amministrativa quale giurisdizione soggettiva, pur con talune peculiarità
– di stretta interpretazione – di tipo oggettivo; c) per la non
mutabilità ex officio del
giudizio di annullamento una volta azionato; d) per la non pertinenza degli
argomenti e dei precedenti richiamati. 3. Con riguardo agli argomenti testuali, vale
quanto previsto dal codice del processo amministrativo e, in virtù del rinvio
esterno ai sensi dell’art. 39 cod. proc. amm.,
anche quanto prevede il codice di procedura civile. L’articolo 29 c.p.a.,
proseguendo nella tradizione delle precedenti leggi processuali (T.U.
Consiglio di Stato e legge TAR), dispone che la sanzione per i vizi di
violazione di legge, eccesso di potere ed incompetenza sia
l’annullamento ad opera del giudice, la cui azione deve proporsi nel
termine di sessanta giorni. L’illegittimità determina
l’annullabilità (in potenza); l’azione di annullamento determina,
su pronuncia del giudice, l’annullamento (in atto) degli atti impugnati. In caso di accoglimento del ricorso di
annullamento (art. 34, comma 1, c.p.a. lettera a) il
giudice quindi annulla (necessariamente) in tutto o in parte il provvedimento
impugnato. A sua volta l’art. 34
esprime il principio dispositivo del processo amministrativo in relazione
all’ambito della domanda di parte; si tratta, nel caso della
giurisdizione amministrativa di legittimità, come noto, di una giurisdizione
di tipo soggettivo, sia pure con aperture parziali alla giurisdizione di tipo
oggettivo (ma che si manifestano in precisi, limitati ambiti come, per
esempio, nella estensione della legittimazione ovvero nella valutazione
sostitutiva dell’interesse pubblico in sede di giudizio di ottemperanza
o in sede cautelare, ovvero ancora nella esistenza di regole speciali, quali
quelle contenute negli artt. 121 e 122 c.p.a., che, riguardo alle controversie
in materia di contratti pubblici, consentono al giudice di modulare gli
effetti della inefficacia del contratto). Del resto la regola secondo la quale nel processo
amministrativo debba darsi al ricorrente vittorioso tutto quello e soltanto
quello che abbia chiesto ed a cui abbia titolo, è
stata ribadita dalle pronunce di questa stessa Adunanza plenaria n. 4 del 7
aprile 2011 e n. 30 del 26 luglio 2012. 4. Ora, proprio in virtù di detto principio della
domanda. non può ammettersi che in presenza di un
atto illegittimo (causa petendi)
per il quale sia stata proposta una domanda demolitoria (petitum), potrebbe non conseguirne
l’effetto distruttivo dell’atto per valutazione o iniziativa ex
officio del giudice. L’azione di annullamento si distingue,
infatti, dalla domanda di risarcimento per gli elementi della domanda, in quanto nella prima la causa petendi è l’illegittimità, mentre nella
seconda è l’illiceità del fatto; il petitum
nella prima azione è l’annullamento degli atti o provvedimenti
impugnati, mentre nella seconda è la condanna al risarcimento in forma
generica o specifica. Inoltre il risarcimento è disposto su “ordine” del giudice ed è
diretto a restaurare la legalità violata dell’ordinamento, costituendo
una situazione quanto più possibile pari o equivalente (monetariamente) o il
più possibile identica a quella che ci sarebbe stata in assenza del fatto
illecito; l’annullamento invece è una restaurazione dell’ordine
violato “ad opera”
del giudice. Al massimo, il giudice può non già “modulare” la forma di tutela
sostituendola a quella richiesta, ma determinare, in
relazione ai motivi sollevati e riscontrati e all’interesse del
ricorrente, la portata dell’annullamento, con formule ben note alla
prassi giurisprudenziale, come l’annullamento parziale, “nella parte in cui prevede” o
“non prevede“,
oppure “nei limiti di interesse
del ricorrente” e così via. Se poi la domanda di annullamento, con il suo
effetto tipico di eliminazione dell’atto impugnato dal mondo giuridico
non dovesse soddisfare l’interesse del ricorrente e anzi dovesse
lederlo (in realtà l’ordinanza di rimessione riconosce che non si verte
in tale ipotesi), la pronuncia del giudice non potrebbe che essere di
accertamento, ma nell’altro senso, cioè della sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente che aveva proposto
domanda di annullamento. Cosa diversa
dall’accertamento del sopravvenuto difetto di interesse
è, come proporrebbe invece l’ordinanza di rimessione, che sia il
giudice ex officio a
preferire la forma di tutela, facendo recedere l’interesse, a suo dire,
indebolito del ricorrente, sulla base di altre valutazioni di interessi (gli
interessi dei controinteressati, l’interesse pubblico, il tempo,
l’opportunità e così via). E’ vero
che la pronuncia di improcedibilità del ricorso per
sopravvenuta carenza di interesse è basata sull’accertamento della
esistenza delle condizioni per l’adozione della decisione
giurisdizionale domandata dal ricorrente a tutela di una concreta situazione
giuridica di vantaggio, accertamento che deve essere compiuto dal giudice,
anche di ufficio, in ogni stato e grado del giudizio (tra varie, Cons. Stato,
IV, 22 marzo 2007, n.1407). Non è però
consentito al giudice, in presenza della acclarata,
obiettiva esistenza dell’interesse all’annullamento richiesto,
derogare, sulla base di invocate ragioni di opportunità, giustizia, equità,
proporzionalità, al principio della domanda (si tratterebbe di una omessa
pronuncia, di una violazione della domanda previsto dall’art. 99 c.p.c.
e del principio della corrispondenza previsto dall’art. 112 c.p.c. tra
chiesto e pronunciato secondo cui “il
giudice deve pronunciare su tutta ladomanda e non oltre i limiti di essa”,
applicabili ai sensi del rinvio esterno di cui all’art. 39 cod. proc.
amm. anche al processo amministrativo) e trasformarne il petitum o la causa petendi, incorrendo altrimenti
nel vizio di extrapetizione. Non può
neppure valere il richiamo, contenuto nell’ordinanza di rimessione, al
c.d. principio di continenza, in quanto, se è vero che l’accertamento è
compreso nell’annullamento (il più comprende il meno),
l’accertamento a fini risarcitori è qualcosa di più o comunque di
diverso dalla domanda di annullamento. 5. Nella
specie ad opinione del Collegio deve ritenersi
persistente tale interesse all’annullamento, nella forma di interesse
strumentale (su tale nozione Ad. Pl. n. 11 del 10 novembre 2008) ad ottenere
la rinnovazione della procedura concorsuale, sia perché tale persistenza è
stata manifestamente ribadita nella memoria del gennaio 2014
dell’appellante e in sede di discussione orale, sia perché, in esito
del motivo di appello ritenuto fondato e per incidenza degli effetti del suo
accoglimento sull’intero procedimento, per la ritenuta esigenza di
predeterminazione dei criteri di valutazione degli esami, non può non procedersi
alla rinnovazione dell’attività viziata (contemperando con il principio
dell’utile per inutile non
vitiatur). Non rileva, a
tal fine, il tempo trascorso. Infatti la durata
occorrente per il giudizio, a maggior ragione quando essa sia prolungata e
inaccettabile nelle sue dimensioni, non può andare a danno del ricorrente che
ha ragione e pregiudicargli la sua pretesa, se non a costo di infliggergli un
doppio danno (sul principio del diritto al giusto processo in tempi
ragionevoli, si veda l’art. 6 CEDU e, in campo nazionale, la legge c.d.
Pinto n. 89 del 24 marzo 2001, sulla durata ragionevole dei giudizi). Non rileva,
d’altro canto, neppure l’utilità più o meno
ampia, che l’appellante possa ricevere da un eventuale annullamento, né
possono avere rilievo le ragioni di inopportunità, in tale sede e fase, per i
disagi causati ai controinteressati incolpevoli o la valutazione preminente
dell’interesse pubblico, il quale coincide, in tale momento, con
l’annullamento degli atti illegittimi impugnati. 7. Non sono d’altra parte di ausilio alla soluzione
prospettata dall’ordinanza di rimessione i precedenti giurisprudenziali
da essa menzionati. Quanto alla
sentenza della VI Sezione n. 2755 del 2011, essa ha riconosciuto la potestà
del giudice amministrativo, in presenza di
determinati presupposti attinenti all’interesse del ricorrente, di
fissare una determinata posteriore decorrenza degli effetti della pronuncia
di annullamento. Si tratta, dunque, di una questione ben diversa da quella
posta nella presente fattispecie, nella quale, come si è più volte rimarcato,
si controverte sulla possibilità per il giudice di sostituire integralmente ex officio la domanda proposta in
giudizio. Ugualmente
non convincente è il richiamo alle sentenze che fanno riferimento alla
possibilità che il giudice, di ufficio, ritenga che sussista un interesse al
mero accertamento. Al di là della
considerazione che tale potere di ufficio di accertare l’illegittimità
a soli fini risarcitori non è del tutto pacifico (l’ordinanza di
rimessione cita anche giurisprudenza più rigorosa sul punto), esso va
necessariamente coniugato, se viene spiegata azione risarcitoria in quella
sede (anche se in vero, essa potrebbe solo essere annunciata e proposta in
sede successiva), con il principio dispositivo in ordine alla proposizione
della domanda di risarcimento, sicchè la parte attrice deve sempre provarne
gli elementi costitutivi (artt. 2043 e 2697 cod civ.). Soprattutto,
le pronunce richiamate riguardano una fattispecie ben diversa dalla invocata possibilità del giudice di modificare la
domanda. Esse
ritengono che ope iudicis
si possa accertare l’illegittimità di un atto impugnato anche quando la
parte, che non ha più interesse all’annullamento, non lo chieda
espressamente. Tali pronunce
si riferiscono alla situazione in cui, accertata in modo incontestabile, per
mutamenti di fatto o di diritto la sopravvenuta carenza
di interesse, si debba decidere se, per la pronuncia di mero accertamento,
sia necessaria oppure no una apposita istanza della parte. Tali
pronunce, come visto, tuttavia non incidono né sulla esigenza
di previamente accertare se tale interesse a ricorrere o bisogno di tutela
giurisdizionale (Rechtsschutzbedürfnis)
continui a persistere anche dopo molto tempo, né sul potere, tipico del
processo dispositivo, della parte di decidere, essa soltanto, e non il giudice
di ufficio, se proseguire nella richiesta di annullamento di atti illegittimi
sia pure a distanza di tempo, vantando ancora un meritevole bene della vita. 8. La
modificazione degli effetti della domanda di
annullamento non può essere neanche giustificata con il richiamo alla
disciplina del processo dinanzi alla Corte di Giustizia (l’art. 264 del
Trattato). L’art. 1 del c.p.a. afferma che la “giurisdizione amministrativa assicura una tutela
piena ed effettiva secondo i principi della costituzione e del diritto
europeo”, ma ciò avviene sulla base della specifica
disciplina del processo amministrativo, non necessariamente dandosi
applicazione alle regole processuali comunitarie. Non si
tratterebbe qui di recepire principi del diritto
comunitario sostanziale o processuale (la proporzionalità,
l’affidamento, il mutuo riconoscimento, il giusto processo, il
contraddittorio etc.), ma di applicare una disposizione dettata per il
giudizio europeo al giudizio (di tutt’altra natura) nazionale. La
problematica della limitazione degli effetti dell’annullamento, sorta e
applicata in via eccezionale in quella sede soprattutto per i regolamenti,
non è sufficiente a portare ad un parallelo con la
giustizia amministrativa italiana, trattandosi di modelli giurisdizionali del
tutto differenti (basti pensare alla serie di atti scrutinati dalla Corte di
Giustizia, che possono essere atti del Parlamento piuttosto che della
Commissione europea, della BCE, del Consiglio). Per completezza, si osserva che tale problematica, a prescindere
dalle regole codicistiche, è stata affrontata in quel sistema dal Conseil
d’Etat francese (Conseil d’Etat, 11 maggio 2004, Association AC),
che ha fatto riferimento alle conseguenze manifestamente eccessive, ma
limitando il potere officioso del giudice in casi del tutto eccezionali
“à titre exceptionnel”
e solo nei casi di atti di tale importanza da mettere in crisi il sistema di
un settore dell’ordinamento, quindi tenendo conto degli effetti della
“securité juridique”. 9. Ai sensi
dell’art. 99, comma 4 c.p.a., l’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato, investita della questione sopra esposta, in
omaggio al principio di economia processuale e per esigenze di celerità, di
regola decide la controversia anche nel merito, salva la presenza di ulteriori
esigenze istruttorie, nel caso di specie insussistenti (così Consiglio di
Stato, ad. Plen. 13 giugno 2012, n.22). D’altra
parte, la questione sollevata dalla Sezione remittente di eventualmente non
annullare per le ragioni sopra esposte, pur non rappresentata alla udienza precedente alle parti ai sensi
dell’art. 73 comma 3, ove ritenuta questione “rilevata d’ufficio”
perché riguardante gli eventuali poteri officiosi del giudice, è stata
compiutamente rappresentata con la ordinanza di deferimento e quindi adeguatamente
trattata dalle varie parti in sede di discussione dinanzi a questa Adunanza
Plenaria. Avendo Ritenendo
pertanto di decidere nel merito la controversia sottoposta all’esame,
sulla base delle sopra esposte considerazioni, va accolto l’appello
proposto dall’appellante e, in riforma della sentenza appellata, va
accolto il ricorso originario, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione,
con la enunciazione del seguente principio di diritto:
“Sulla base del principio della
domanda che regola il processo amministrativo, il giudice amministrativo,
ritenuta la fondatezza del ricorso, non può ex officio limitarsi a condannare
l’amministrazione al risarcimento dei danni conseguenti agli atti
illegittimi impugnati anziché procedere al loro annullamento, che abbia
formato oggetto della domanda dell’istante ed in ordine al quale
persista il suo interesse, ancorché la pronuncia possa recare gravi
pregiudizi ai controinteressati, anche per il lungo tempo trascorso
dall’adozione degli atti, e ad essa debba seguire il mero rinnovo, in
tutto o in parte, della procedura esperita”. La
particolare complessità della vicenda, la sua risalenza nel tempo rispetto
all’affermazione giurisprudenziale in modo chiaro della regola
dell’esigenza della predeterminazione dei criteri delle prove rispetto alla amministrazione comunale e la mancanza di
qualsivoglia imputabilità di comportamento in capo ai controinteressati
(seppure essi fossero, naturalmente, a conoscenza della impugnativa del
concorso già dalla proposizione avvenuta nel corso dell’anno 1999),
giustificano la compensazione totale delle spese del doppio grado di
giudizio. P.Q.M. Il Consiglio
di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria) definitivamente
pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo accoglie ai sensi di cui in motivazione e, in conseguenza, in riforma
dell’appellata sentenza, accoglie il ricorso originario ai sensi e nei
limiti di cui in motivazione, annullando gli atti impugnati. Spese del
doppio grado compensate. Ordina che la
presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso
in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 marzo 2015 con
l’intervento dei magistrati: DEPOSITATA IN
SEGRETERIA il 13/04/2015.
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