Aggiornamento - Amministrativo |
Non sussiste l’obbligo di motivazione dell’ordinanza di demolizione adottata, a distanza di anni dall’abuso, nei confronti dell’attuale proprietario che non lo ha realizzato. Consiglio di Stato,
Adunanza plenaria, sentenza 17 ottobre 2017, n. 9, Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale amministrativo
regionale del Lazio e recante il n. 8174/2014 i signori Fiorella, Annamaria e
Fabio Bartolucci impugnavano, chiedendone
l’annullamento, l’ordinanza n. 14889 del Rappresentavano, in particolare: i) di essere estranei alla realizzazione dell’abuso, che era imputabile in via esclusiva alla loro comune dante causa, la madre Concetta Fiozzi; ii) che l’abuso
era assai risalente nel tempo (1982) e che già nel dicembre del 1986 la
responsabile dello stesso era stata condannata in sede penale per il reato di
cui all’articolo 17, lettera b) della l. iii) che l’abuso era noto al Comune di Fiumicino almeno da quando (ottobre 1982) l’immobile era stato sottoposto a sequestro giudiziario e affidato in custodia al Corpo di Polizia Locale. iv) che la responsabile
dell’abuso aveva ottenuto in data Con l’impugnata sentenza n. 7519/2014 il Tribunale amministrativo adito ha respinto il ricorso aderendo alla tesi secondo cui l’ordine di demolizione, in quanto atto dovuto e dal contenuto rigidamente vincolato, non postula né la previa comunicazione di avvio del procedimento, né una motivazione puntuale in ordine alle ragioni di interesse pubblico che depongono nel senso della demolizione, né – infine – una valutazione specifica in ordine all’eventuale stato soggettivo di buona fede dell’attuale proprietario dell’immobile. La sentenza in questione è stata impugnata in appello dai signori Bartolucci i quali ne hanno chiesto la riforma articolando plurimi motivi. In primo luogo essi lamentano la violazione e falsa
applicazione dell’articolo 7 della l. Richiamano al riguardo l’orientamento secondo cui, pur rappresentando l’ordine di demolizione un atto rigidamente vincolato, il destinatario deve tuttavia essere posto in condizione di interloquire con l’amministrazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per la sua adozione. Se l’amministrazione – proseguono gli appellanti – avesse comunicato loro l’avvio del procedimento in parola, essi avrebbero potuto rappresentare: i) la risalenza nel tempo degli abusi realizzati dalla loro comune dante causa; ii) il legittimo affidamento riposto nella mancata adozione di provvedimenti repressivi da parte dell’autorità; iii) il contegno contraddittorio serbato dal Comune di Fiumicino, il quale aveva continuato nel corso degli anni ad introitare i tributi locali per l’immobile in parola, in tal modo rafforzando il convincimento circa la mancata attivazione dei poteri repressivi. In secondo luogo gli appellanti lamentano che il primo Giudice abbia trascurato di rilevare l’omessa indicazione, da parte del Comune, delle ragioni di interesse pubblico alla demolizione del manufatto (interesse – questo – che non potrebbe coincidere con quello al puro e semplice ripristino della legalità, anche in considerazione del notevole lasso temporale trascorso fra la realizzazione dell’abuso e l’attivazione del potere repressivo e dello stato di legittimo affidamento ormai maturato dagli appellanti). In particolare il Comune avrebbe avuto l’onere di motivare puntualmente circa l’interesse pubblico in parola, anche in considerazione: i) della data di ultimazione dell’abuso, assai risalente nel tempo; ii) della non coincidenza soggettiva fra il responsabile dell’abuso (la defunta madre degli appellanti) e gli attuali proprietari; iii) della protratta inerzia della P.A. nell’assicurare la propria risposta sanzionatoria. E ancora gli appellanti lamentano che il primo Giudice
abbia omesso di tenere in adeguata considerazione i chiarimenti forniti con
la sentenza della Quarta Sezione di questo Consiglio Gli appellanti osservano poi che il Comune appellato fosse certamente al corrente dell’esistenza del manufatto e degli abusi colà commessi sin dal momento in cui (ottobre 1982) lo stesso era stato sottoposto a sequestro giudiziario e affidato in custodia al Corpo di Polizia Locale. Ad ogni modo il primo Giudice avrebbe omesso di considerare che, anche in considerazione del notevole lasso di tempo trascorso e del dissequestro dell’immobile disposto contestualmente alla condanna in sede penale della responsabile dell’abuso, era sorta in capo agli appellanti “una ragionevole presunzione che non sussistessero più irregolarità da perseguire” (ricorso in appello, pag. 12). Con un ulteriore argomento gli
appellanti lamentano la mancata considerazione da parte del Comune (e in
seguito da parte del primo Giudice) del fatto che altra porzione del medesimo
corpo di fabbrica fosse stata ammessa a una concessione in sanatoria già nel
febbraio del 2008 (e la concessione in sanatoria era stata rilasciata
nonostante il fatto che l’area fosse interessata da vincolo
paesaggistico, fosse inclusa nel perimetro delle aree a rischio idrogeologico
e fosse sottoposta a misure di salvaguardia ai sensi dell’articolo 17,
comma 6-bis della l. Ed ancora, il Comune e il primo Giudice avrebbero omesso di considerare che nel marzo del 2012 l’area su cui sorge l’immobile per cui è causa era stata declassificata, in relazione al rischio idrogeologico, dal (più elevato) livello R4 al (meno elevato) livello R2. Secondo gli appellanti, quindi, risultando ormai ridotto il rischio di esondazione che aveva in precedenza caratterizzato l’area, non residuerebbero ragioni di pubblico interesse alla rimozione dei fabbricati colà esistenti. Con un terzo ordine di motivi gli appellanti lamentano
che il primo Giudice abbia erroneamente respinto il motivo con cui si era
lamentata la mancata ponderazione, in sede di emissione dell’ordinanza
ingiunzione, degli effetti della demolizione sulle parti legittimamente
realizzate dell’edificio, così come la mancata verifica della
possibilità di irrogare – in alternativa alla
misura della demolizione – una sanzione pecuniaria, conformemente alla
previsione di cui all’articolo 34, comma 2 del d.P.R.
In particolare, il Comune di Fiumicino avrebbe omesso di motivare puntualmente in ordine alla reale fattibilità, in termini materiali e giuridici, della disposta demolizione. In definitiva il primo Giudice avrebbe omesso di considerare che la valutazione tecnica in ordine alla impossibilità di demolire, rimessa all’amministrazione, deve essere effettuata prima dell’adozione dell’ordinanza di demolizione. Opinando in modo diverso, la diffida a demolire rischierebbe di rivelarsi in potenziale contrasto con i principi di efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa. Si è costituito in giudizio il Comune di Fiumicino il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello. Con ordinanza in data Con successiva ordinanza in data Ha pertanto sospeso il giudizio ai sensi dell’articolo 99 del cod. proc. amm. e ha rimesso a questa Adunanza plenaria la seguente questione: “se l’ordinanza di demolizione di immobile abusivo (nella specie, trasferito mortis causa) debba essere congruamente motivat[a] sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata quando il provvedimento sanzionatorio intervenga a una distanza temporale straordinariamente lunga dalla commissione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi del provvedimento sanzionatorio”. Alla pubblica udienza del DIRITTO 1. Giunge alla decisione di questa Adunanza Plenaria il ricorso in appello proposto dai signori Fiorella, Annamaria e Fabio Bartolucci avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio con cui è stato respinto il ricorso da loro proposto avverso l’ordinanza del Sindaco del Comune di Fiumicino con la quale è stata loro ingiunta la demolizione di un immobile realizzato sine titulo oltre trent’anni prima dalla loro comune dante causa, la madre Concetta Fiozzi. 2. Come si è anticipato in narrativa, viene chiesto a questa Adunanza Plenaria di chiarire la questione dell’onere motivazionale che grava in capo all’amministrazione in sede di adozione di un’ingiunzione di demolizione (nel caso in esame, conseguente alla realizzazione di un immobile in area vincolata nella radicale assenza di un valido titolo edilizio) e se in particolare, decorso un considerevole lasso di tempo dalla realizzazione dell’abuso, gravi in capo all’amministrazione un onere motivazionale aggiuntivo, che non resti limitato al solo richiamo alla normativa urbanistica violata e alla conseguente necessità di ripristinare l’ordine giuridico compromesso. Viene altresì chiesto di stabilire se uno specifico onere di motivazione in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico e concreto alla demolizione sia altresì ravvisabile nell’ipotesi in cui l’attuale proprietario del bene non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento del bene non denoti intenti elusivi della normativa in tema di onere di ripristino. 3. L’ordinanza di rimessione ha correttamente – sia pur sinteticamente – richiamato gli argomenti essenziali che sostengono le due principali tesi attualmente in campo. 3.1. In base a un primo
orientamento (ad oggi maggioritario) l’ordinanza di demolizione di un
manufatto abusivo non richiede una particolare motivazione in ordine alla
sussistenza di uno specifico interesse pubblico al ripristino della
legittimità violata, e ciò nonostante sia decorso un considerevole lasso di
tempo dalla commissione dell’abuso. In base all’orientamento in
parola deve infatti escludersi la configurabilità di
un legittimo affidamento in capo al responsabile dell’abuso o al suo
avente causa nonostante il decorso del tempo dal commesso abuso (in tal senso
– ex multis -: Cons. Stato, VI, Si è osservato al riguardo che l’ordine di
demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è
atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di
quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né
– ancora – una motivazione sulla sussistenza di un interesse
pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi
l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una
situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (in tal
senso: Cons. Stato, IV, Si è inoltre osservato al riguardo che, laddove si
annettesse rilievo in siffatte ipotesi al decorso del tempo – sia pure,
al solo fine di incidere sul quantum di motivazione richiesto
all’amministrazione -, si perverrebbe in via pretoria
a delineare una sorta di ‘sanatoria extra ordinem’, la quale opererebbe anche nelle
ipotesi in cui il soggetto interessato non abbia potuto – o voluto
– avvalersi delle disposizioni normative in tema di sanatoria di abusi
edilizi (in tal senso: Cons. Stato, VI, 3.2. In base a un diverso (e
minoritario) orientamento, l’ingiunzione di demolizione, in quanto atto
dovuto in presenza della constatata realizzazione dell’opera edilizia
senza titolo abilitativo o in totale difformità da esso, è in linea di
principio sufficientemente motivata con l’affermazione
dell’accertata abusività dell’opera. Deve tuttavia essere fatta
salva l’ipotesi in cui, per il lungo lasso di tempo
trascorso dalla commissione dell’abuso e il protrarsi
dell’inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia
ingenerata una posizione di affidamento nel privato: ipotesi - questa - in
relazione alla quale si ravvisa un onere di congrua motivazione la quale
indichi, avuto riguardo anche all’entità ed alla tipologia
dell’abuso, il pubblico interesse - evidentemente diverso da quello al
ripristino della legalità - idoneo a giustificare il sacrificio del
contrapposto interesse privato (in tal senso: Cons. Stato, IV, In base a un’opzione per molti aspetti simile a quella appena richiamata si è affermato che, quanto meno in alcuni ‘casi-limite’, l’ingiunzione di demolizione debba essere assistita da un’adeguata motivazione circa lo specifico interesse pubblico sotteso alla riduzione in pristino dell’area. Ciò si renderà necessario, in particolare: i) quando il proprietario del bene sia pacificamente persona diversa da quella che ha commesso l’abuso; ii) quando l’intervenuta alienazione della res non palesi finalità elusive; iii) quando fra il commesso abuso e l’ordine di demolizione sia intercorso un rilevante lasso di tempo, sì da ingenerare nel proprietario uno stato di affidamento in ordine alla desistenza da parte dell’amministrazione dall’adozione di atti pregiudizievoli (in tal senso: Cons. Stato, IV, sent. 1016 del 2014; id., V, sent. 3847 del 2013). A conclusioni non dissimili è pervenuta quella parte
della giurisprudenza secondo cui il decorso del tempo incide sulla certezza
dei rapporti giuridici e può incidere significativamente con le possibilità
di difesa dell’interessato sia nei confronti dell’amministrazione
che del dante causa (in tal senso: Cons. Stato, IV, 4. Ad avviso di questa Adunanza Plenaria il dato di fondo da cui occorre prendere le mosse è costituito dall’oggettiva non riconducibilità della fattispecie in esame al quadro generale dell’autotutela. Ed infatti, non viene qui in rilievo l’ipotesi in cui l’amministrazione abbia, a distanza di tempo dal rilascio, disposto l’annullamento in autotutela del titolo edilizio illegittimamente adottato ovvero del provvedimento di sanatoria rilasciato in assenza dei necessari presupposti legittimanti. Al contrario, il caso che qui rileva si presenta in termini sensibilmente diversi e concerne la diversa ipotesi in cui l’edificazione sia avvenuta nella totale assenza di un titolo legittimante (laddove – tuttavia – l’amministrazione abbia provveduto solo a distanza di un considerevole lasso di tempo all’adozione dell’ingiunzione di demolizione). Si tratta, in definitiva, dei casi (frequenti nella pratica) di doverosa – se pure tardiva – attivazione dell’ordine di demolizione di fabbricati privi ab origine di un qualunque titolo legittimante e giammai ammessi a sanatoria. Al riguardo ci si limita a rilevare che: - nel caso di ritiro tardivo in autotutela di un atto amministrativo illegittimo ma favorevole al proprietario, si radica comunque un affidamento in capo al privato beneficiato dall’atto in questione e ciò giustifica una scelta normativa (quale quella trasfusa nell’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990) volta a rafforzare l’onere motivazionale gravante in capo all’amministrazione. Si tratta di stabilire sino a che punto e in che termini l’ordinamento si debba far carico di tutelare un siffatto stato di legittimo affidamento; - al contrario, nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione, la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata. In definitiva, non si può applicare a un fatto illecito (l’abuso edilizio) il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell’interesse pubblico, è stato enucleato per la diversa ipotesi dell’autotutela decisoria. 5. Va d’altra parte osservato che, anche nelle sue declinazioni più estreme, la tesi maggiormente orientata al riconoscimento delle ragioni e delle prerogative proprietarie non giunge a riconoscere l’illegittimità dell’ordine di demolizione quale diretta conseguenza della sua tardiva emanazione, né postula una sorta di ‘sanatoria extra ordinem’ quale effetto dell’omessa o tardiva adozione del provvedimento demolitorio. Ed infatti, le decisioni riconducibili a tale approccio pervengono soltanto – in maniera più o meno incisiva – a delineare in capo all’amministrazione che abbia omesso per un considerevole lasso di tempo di adottare l’ordine di demolizione un onere di motivazione sia in ordine alle ragioni di interesse pubblico – concreto e attuale – sottese alla demolizione, sia in ordine alla comparazione fra l’interesse pubblico al ripristino della legittimità violata e l’interesse privato alla permanenza in loco del manufatto. La stessa sentenza della Quarta Sezione di questo Consiglio di Stato n. 1016 del 2014 (invocata dagli appellanti a sostegno delle proprie tesi) non ha affermato l’illegittimità ex se dell’ordine di demolizione tardivamente adottato, ma ha soltanto individuato una serie di “casi-limite” in cui graverebbe comunque sull’amministrazione l’obbligo di motivare puntualmente in ordine alle ragioni sottese alla tardiva attivazione del potere ripristinatorio (la sentenza in questione ha individuato tali “casi-limite” nelle ipotesi in cui: i) il proprietario attuale non abbia commesso l’abuso; ii) l’alienazione in suo favore non palesi intenti elusivi; iii) fra il commesso abuso e il provvedimento demolitorio sia intercorso un notevole lasso di tempo). 5.1. Si osserva comunque al riguardo che non sarebbe in alcun modo concepibile l’idea stessa di connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare il grave fenomeno dell’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta – e inammissibile – forma di sanatoria automatica o praeter legem. 5.2. Una chiara conferma di quanto appena rappresentato
si desume dal terzo periodo del comma 4-bis dell’articolo 31 del d.P.R. 380 del 2001 (per
come introdotto dal comma 1, lettera q-bis) dell’articolo 17 del
decreto-legge La disposizione appena richiamata chiarisce che il decorso del tempo dal momento del commesso abuso non priva giammai l’amministrazione del potere di adottare l’ordine di demolizione, configurando piuttosto specifiche – e diverse – conseguenze in termini di responsabilità in capo al dirigente o al funzionario responsabili dell’omissione o del ritardo nell’adozione di un atto che è e resta doveroso nonostante il decorso del tempo. 6. Se pertanto il decorso del tempo non può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l’ordinanza di demolizione di immobile abusivo (pur se tardivamente adottata) debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. 6.1. Deve quindi ribadirsi che, in questi casi, nemmeno si pone un problema di affidamento, che presuppone una posizione favorevole all’intervento riconosciuta da un atto in tesi illegittimo poi successivamente oggetto di un provvedimento di autotutela. Un condiviso orientamento ha sottolineato al riguardo l’oggettiva differenza che sussiste fra: - (da un lato) l’adozione di determinazioni sfavorevoli di segno opposto rispetto ad altre precedenti e di segno favorevole per l’interessato (come l’annullamento in autotutela del titolo edilizio o del provvedimento di sanatoria) e - (dall’altro) l’adozione dell’ordine di demolizione in caso di interventi realizzati in radicale assenza del permesso di costruire (articolo 31 del d.P.R. 380 del 2001). In tale secondo novero di ipotesi
è del tutto congruo che l’ordine di demolizione sia adeguatamente
motivato mercé il richiamo al comprovato carattere abusivo
dell’intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri
motivazionali, applicabili nel diverso ambito dell’autotutela decisoria
(in tal senso: Cons. Stato, IV, 7.1. E’ stato in primo luogo affermato che il tempo
trascorso (in ipotesi, anche rilevante) fra il momento della realizzazione
dell’abuso e l’adozione dell’ordine di demolizione non
determina l’insorgenza di uno stato di legittimo affidamento e non
innesta in capo all’amministrazione uno specifico onere di motivazione.
Ciò in quanto il decorso del tempo, lungi dal
radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato,
rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento (in tal senso
– ex multis -: Cons. Stato, VI, 7.2. E’ stato inoltre affermato che il carattere
del tutto vincolato dell’ordine di demolizione (che deve essere
adottato a seguito della sola verifica dell’abusività
dell’intervento) fa sì che esso non necessiti di
una particolare motivazione circa l’interesse pubblico sotteso a tale
determinazione. Inoltre, il provvedimento di demolizione non deve motivare in ordine a un ipotetico interesse del privato alla
permanenza in loco dell’opus (in tal senso – ex multis -: Cons. Stato, VI, 7.3. E’ stato, ancora, affermato che non occorre
motivare in modo particolare un provvedimento con il quale sia ordinata la demolizione di un immobile abusivo neppure
quando sia trascorso un notevole lasso di tempo dalla sua realizzazione. Ed infatti l’ordinamento tutela l’affidamento
di chi versa in una situazione antigiuridica soltanto laddove esso presenti
un carattere incolpevole, mentre la realizzazione di un’opera abusiva
si concretizza in una volontaria attività del costruttore realizzata contra
legem (in tal senso – ex multis -: Cons. Stato, IV, Si è altresì osservato – e in modo parimenti
condivisibile - che l’ordine di demolizione presenta un carattere
rigidamente vincolato e non richiede né una specifica motivazione in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico
concreto e attuale alla demolizione, né una comparazione fra
l’interesse pubblico e l’interesse privato al mantenimento in
loco dell’immobile. Ciò, in quanto non può
ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla
conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può in
alcun modo legittimare (in tal senso – ex multis
-: Cons. Stato, Deve pertanto essere confermato, anche da questi diversi angoli visuali, che, nelle ipotesi che qui rilevano di edificazioni radicalmente abusive e giammai assistite da alcun titolo, il richiamo alla figura, peraltro ambigua e controversa, dell’interesse pubblico in re ipsa, appare improprio. Ciò perché - da un lato, come si è detto, il rilevato carattere sanzionatorio e doveroso del provvedimento esclude la pertinenza del richiamo alla motivazione dell’interesse pubblico; - dall’altro, la selezione e ponderazione dei sottesi interessi risulta compiuta – per così dire – ‘a monte’ dallo stesso legislatore (il quale ha sancito in via indefettibile l’onere di demolizione al comma 2 dell’articolo 31 del d.P.R. 380 del 2001), in tal modo esentando l’amministrazione dall’onere di svolgere – in modo esplicito o implicito – una siffatta ponderazione di interessi in sede di adozione dei propri provvedimenti. 7.4. L’ordinanza di rimessione si è altresì soffermata sulla possibile sussistenza di un obbligo per l’amministrazione di motivare l’ordine di demolizione in relazione alla concretezza ed attualità dell’interesse pubblico alla demolizione. Le considerazioni sopra esposte - che evidenziano la non riconducibilità della fattispecie all’autotutela decisoria - escludono la rilevanza delle questioni attinenti all’onere motivazionale. 8. L’ordinanza di rimessione si sofferma inoltre sul caso in cui l’attuale proprietario dell’immobile non sia responsabile dell’abuso e non risulti che la cessione sia stata effettuata con intenti elusivi. 8.1. Si osserva in primo luogo al riguardo che il carattere reale della misura ripristinatoria della demolizione e la sua precipua finalizzazione al ripristino di valori di primario rilievo non si pongono in modo peculiare nelle ipotesi in cui il proprietario non sia responsabile dell’abuso. Non può infatti ritenersi che, ferma restando la doverosità della misura ripristinatoria, la diversità soggettiva fra il responsabile dell’abuso e l’attuale proprietario imponga all’amministrazione un peculiare ed aggiuntivo onere motivazionale. Ed infatti il carattere reale dell’abuso e la stretta doverosità delle sue conseguenze non consentono di valorizzare ai fini motivazionali la richiamata alterità soggettiva (la quale può – al contrario – rilevare a fini diversi da quelli della misura ripristinatoria, come nelle ipotesi del riparto delle responsabilità fra il responsabile dell’abuso e il suo avente causa). Del resto, la principale (se non l’unica) ragione che potrebbe indurre a valorizzare la richiamata alterità soggettiva è quella relativa allo stato soggettivo di buona fede e di affidamento che caratterizza la posizione dell’avente causa. Tuttavia – e per le ragioni dinanzi esposte retro, sub 7.1 e 7.3 – tali stati soggettivi non possono essere in alcun modo valorizzati ai fini motivazionali In definitiva l’Adunanza plenaria ritiene di
confermare l’orientamento secondo cui gli ordini di demolizione di
costruzioni abusive, avendo carattere reale, prescindono dalla responsabilità
del proprietario o dell’occupante l’immobile (l’estraneità
agli abusi assumendo comunque rilievo sotto altri profili), applicandosi
anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al
momento dell’irrogazione in un rapporto con la res
tale da assicurare la restaurazione dell’ordine giuridico violato (in
tal senso – ex multis -: Cons. Stato, VI, Anche in questo caso ci si limita ad osservare che tale circostanza – inerente in ultima analisi allo stato soggettivo dell’avente causa – non può in alcuno modo rilevare sulla doverosità delle conseguenze connesse alla commissione dell’abuso in quanto tale. |
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